Record per la fascia 15-24 anni. Per Sacconi «non è una novità». Gli universitari: ammazzano una generazione
Laura Eduati
Nell'Italia dei precari che rimangono giovani fino a 40 anni, la disoccupazione giovanile tocca livelli mai raggiunti nella storia recente: 29,2%.
Si parla della fascia dai 15 ai 24 anni, quella dei ragazzi che decidono di non proseguire gli studi dopo la terza media o dopo il diploma di maturità o anche di coloro che tentano l'avventura universitaria e poi smettono, per problemi economici o scarsa motivazione: ecco, un terzo vorrebbe trovare un'occupazione ma non ci riesce.
Il dato è reso noto dall'Istat, che sottolinea come la percentuale sia la più alta mai registrata: in un solo anno, da maggio 2009 a maggio 2010, i giovani disoccupati sono cresciuti del 4,7%. Il dato europeo è notevolmente più basso: 19,8%.
Che questo non fosse un Paese per giovani era ormai una percezione diffusa. Lo ribadisce ancora una volta l'Unione degli Universitari, che ricordano come i dati sulle immatricolazioni siano in calo a causa delle difficoltà economiche delle famiglie. E quei giovani che cercano di mantenersi agli studi faticano appunto a trovare una collocazione lavorativa. Vengono chiamati bamboccioni, e per dare un contentino il ministro Renato Brunetta aveva avanzato l'idea di dare 500 euro al mese ai ragazzi che volessero uscire di casa. Togliendo però quel denaro dalle pensioni.
L'idea era presto rientrata, anche se un guizzo di verità era riuscito a pronunciarla: «L'Italia è piena di giovani per bene, che rischiano e che vogliono la libertà. La colpa, se hanno la libertà tarpata, è nostra, dei loro genitori».
Soltanto poche settimane fa era uscito un altro dato interessante sulla condizione giovanile: due milioni di ragazzi e ragazze tra i 15 e i 29 anni, cioè un quinto delle persone di questa età, non studiano né lavorano ovvero vivono completamente a carico dei loro genitori. Un panorama sconsolante, visto che arrivare a trent'anni senza una laurea e senza un mestiere non è esattamente un buon modo per gettare basi nel futuro.
Sempre l'Istat aveva rilevato come la quota dei trenta-trentaquattrenni ancora in famiglia sia triplicata rispetto al 1983, arrivando quasi al 30%. Ma questo è senz'altro frutto, ripetono i sociologi, del posticipo dell'età nella quale gli italiani decidono di avere una famiglia. Non solo: il 40,2% rimane a vivere con i genitori perché non hanno soldi sufficienti per pagare un affitto, il 34% lo fa perché ancora studente. Eppure, incrociando le statistiche sulla disoccupazione giovanile e quelle sui nullafacenti forzati e non forzati - né studio né lavoro -, si ottiene una fotografia agghiacciante della gioventù italiana di inizio millennio: scarse, scarsissime opportunità lavorative e impossibilità di costruire famiglia fino a tarda età. Non sorprende che l'Udu vaticini «un esodo di massa».
I giovani disoccupati, prima o poi, un lavoro lo trovano. Ma è spesso precario e al di sotto delle aspettative: oltre la metà dei sottoinquadrati, ovvero di coloro che svolgono una professione di rango inferiore al titolo di studio, sono giovani dai 15 ai 34 anni.
La crisi ha accentuato le difficoltà e l'unico rimedio possibile, per ora, rimane quello di chiedere aiuto alla famiglia di origine che ancora regge miracolosamente alla completa mancanza di welfare, visto che il reddito minimo in Italia è ancora una locuzione sconosciuta e gli ammortizzatori per i precari non esistono se non in forma di piccole briciole.
La mancanza di lavoro intacca naturalmente la motivazione a cercarlo, e di fatto il 44% dei disoccupati, dopo un lungo periodo, diventano inattivi ovvero smettono di acorrere gli annunci per trovare un mestiere. Sono moltissime le donne (penalizzate specialmente dopo la maternità) ma anche gli uomini. Sono la cosiddetta nuova generazione che dovrà fare i conti con una pensione sicuramente meno succulenta di quella goduta dai loro genitori, con un Paese che verrà annoverato tra i più vecchi del mondo, con un mercato del lavoro caratterizzato da una disparità inaudita tra impiego stabile e impiego precario.
Il ministro Maurizio Sacconi minimizza e si chiara poco sorpreso dal dato sulla disoccupazione giovanile e non vede altra soluzione che l'investimento, da parte delle Regioni, sulla formazione dei giovani «soprattutto attraverso l'apprendistato».
I sindacati non la pensano esattamente così. La Cgil, commentando in generale i dati sulla disoccupazione (8,7%, comunque un terzo rispetto a quella dei ragazzi), si chiede cosa succederà quando terminerà la cassintegrazione in atto in questi mesi di crisi: « Il governo insiste in una insensata lettura ottimistica, addirittura liquidando il dramma della disoccupazione giovanile».
Cisl e Uil sono preoccupate per l'inoccupazione di giovani e donne, specialmente nel Sud e chiedono a gran voce l'applicazione dell'apprendistato.
Liberazione 03/07/2010, pag 2
Laura Eduati
Nell'Italia dei precari che rimangono giovani fino a 40 anni, la disoccupazione giovanile tocca livelli mai raggiunti nella storia recente: 29,2%.
Si parla della fascia dai 15 ai 24 anni, quella dei ragazzi che decidono di non proseguire gli studi dopo la terza media o dopo il diploma di maturità o anche di coloro che tentano l'avventura universitaria e poi smettono, per problemi economici o scarsa motivazione: ecco, un terzo vorrebbe trovare un'occupazione ma non ci riesce.
Il dato è reso noto dall'Istat, che sottolinea come la percentuale sia la più alta mai registrata: in un solo anno, da maggio 2009 a maggio 2010, i giovani disoccupati sono cresciuti del 4,7%. Il dato europeo è notevolmente più basso: 19,8%.
Che questo non fosse un Paese per giovani era ormai una percezione diffusa. Lo ribadisce ancora una volta l'Unione degli Universitari, che ricordano come i dati sulle immatricolazioni siano in calo a causa delle difficoltà economiche delle famiglie. E quei giovani che cercano di mantenersi agli studi faticano appunto a trovare una collocazione lavorativa. Vengono chiamati bamboccioni, e per dare un contentino il ministro Renato Brunetta aveva avanzato l'idea di dare 500 euro al mese ai ragazzi che volessero uscire di casa. Togliendo però quel denaro dalle pensioni.
L'idea era presto rientrata, anche se un guizzo di verità era riuscito a pronunciarla: «L'Italia è piena di giovani per bene, che rischiano e che vogliono la libertà. La colpa, se hanno la libertà tarpata, è nostra, dei loro genitori».
Soltanto poche settimane fa era uscito un altro dato interessante sulla condizione giovanile: due milioni di ragazzi e ragazze tra i 15 e i 29 anni, cioè un quinto delle persone di questa età, non studiano né lavorano ovvero vivono completamente a carico dei loro genitori. Un panorama sconsolante, visto che arrivare a trent'anni senza una laurea e senza un mestiere non è esattamente un buon modo per gettare basi nel futuro.
Sempre l'Istat aveva rilevato come la quota dei trenta-trentaquattrenni ancora in famiglia sia triplicata rispetto al 1983, arrivando quasi al 30%. Ma questo è senz'altro frutto, ripetono i sociologi, del posticipo dell'età nella quale gli italiani decidono di avere una famiglia. Non solo: il 40,2% rimane a vivere con i genitori perché non hanno soldi sufficienti per pagare un affitto, il 34% lo fa perché ancora studente. Eppure, incrociando le statistiche sulla disoccupazione giovanile e quelle sui nullafacenti forzati e non forzati - né studio né lavoro -, si ottiene una fotografia agghiacciante della gioventù italiana di inizio millennio: scarse, scarsissime opportunità lavorative e impossibilità di costruire famiglia fino a tarda età. Non sorprende che l'Udu vaticini «un esodo di massa».
I giovani disoccupati, prima o poi, un lavoro lo trovano. Ma è spesso precario e al di sotto delle aspettative: oltre la metà dei sottoinquadrati, ovvero di coloro che svolgono una professione di rango inferiore al titolo di studio, sono giovani dai 15 ai 34 anni.
La crisi ha accentuato le difficoltà e l'unico rimedio possibile, per ora, rimane quello di chiedere aiuto alla famiglia di origine che ancora regge miracolosamente alla completa mancanza di welfare, visto che il reddito minimo in Italia è ancora una locuzione sconosciuta e gli ammortizzatori per i precari non esistono se non in forma di piccole briciole.
La mancanza di lavoro intacca naturalmente la motivazione a cercarlo, e di fatto il 44% dei disoccupati, dopo un lungo periodo, diventano inattivi ovvero smettono di acorrere gli annunci per trovare un mestiere. Sono moltissime le donne (penalizzate specialmente dopo la maternità) ma anche gli uomini. Sono la cosiddetta nuova generazione che dovrà fare i conti con una pensione sicuramente meno succulenta di quella goduta dai loro genitori, con un Paese che verrà annoverato tra i più vecchi del mondo, con un mercato del lavoro caratterizzato da una disparità inaudita tra impiego stabile e impiego precario.
Il ministro Maurizio Sacconi minimizza e si chiara poco sorpreso dal dato sulla disoccupazione giovanile e non vede altra soluzione che l'investimento, da parte delle Regioni, sulla formazione dei giovani «soprattutto attraverso l'apprendistato».
I sindacati non la pensano esattamente così. La Cgil, commentando in generale i dati sulla disoccupazione (8,7%, comunque un terzo rispetto a quella dei ragazzi), si chiede cosa succederà quando terminerà la cassintegrazione in atto in questi mesi di crisi: « Il governo insiste in una insensata lettura ottimistica, addirittura liquidando il dramma della disoccupazione giovanile».
Cisl e Uil sono preoccupate per l'inoccupazione di giovani e donne, specialmente nel Sud e chiedono a gran voce l'applicazione dell'apprendistato.
Liberazione 03/07/2010, pag 2
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