A vent'anni un libro di Nando Simeone ne ricostruisce la storia
Raul Mordenti
I movimenti hanno poca memoria, e non producono quasi mai la loro storia. Ciò non è affatto casuale: finché il movimento esiste e lotta ha cose più importanti da fare che dedicarsi alla propria memorizzazione, quando esso rifluisce o scompare è troppo tardi perché possa compiere una simile operazione (la memorialistica personale è, evidentemente, tutt'altra cosa e assai meno interessante). Ancora più cogenti e profondi sono i motivi della scarsa produzione storiografica dei movimenti: la storiografia è un'istituzione, e non a caso essa nasce (e vive a lungo) come una funzione dello Stato. Come può un movimento produrre storia che sia storia del movimento, e non storia della sua trasformazione in istituzione? Fatto sta che i movimenti spesso dimenticano, e sono dimenticati, e così va spesso perduto un patrimonio prezioso di conoscenze, con il rischio di ripetere gli stessi errori, senza che sia possibile fare tesoro dell'esperienza collettiva.
Per questo è tanto importante quanto raro il lavoro che ci propone Nando Simeone sul movimento studentesco del 1990, detto "della Pantera" (N. Simeone, Gli studenti della Pantera. Storia di un movimento rimosso , Roma, Alegre, 2010, pp.190, euro 14,00). Simeone, che fu giovane militante e dirigente di quel movimento, ne ricostruisce il contesto storico-politico, i contenuti, il dibattito interno, i nodi irrisolti e anche gli errori, e completa la sua ricostruzione (che, dunque, si presenta come una vera e propria storia) con un'accurata Cronologia, un'esauriente Bibliografia ragionata e anche una preziosa Appendice di documenti elaborati dalla Pantera. È assai originale, e del tutto persuasiva, la ricostruzione delle radici nascoste di quel movimento (a conferma che la "vecchia talpa" lavora anche quando noi non la vediamo); tali radici per Simeone sono da ricercare nella ripresa di lotte studentesche nel 1985 con cui si recuperava finalmente lo specifico scolastico e universitario, per molti, troppi anni disprezzato dalle formazioni della sinistra rivoluzionaria (per paradosso: tutte nate proprio dal '68 studentesco!). La prima travolgente ondata dei Cobas della scuola nel 1987-8 appartiene al medesimo ciclo. Meno convincente sembra a chi scrive la connessione proposta fra il Movimento della Pantera e la "caduta del muro", anche se colpisce il fatto che proprio quella generazione, che avrebbe dovuto celebrare la fine del comunismo, manifestò invece, subito dopo il crollo del "socialismo reale", posizioni decisamente anticapitaliste. È ancora del massimo interesse il nesso che Simeone mette a fuoco fra la Pantera e il '77, o meglio la sconfitta drammatica di quel movimento schiacciato fra Stato e terrorismo di sinistra. Non a caso fra le due date (il '77 e il '90) passa un'intera generazione, come se per tornare a muoversi gli studenti avessero avuto bisogno di dimenticare quella trappola micidiale. Se la ricordava invece molto bene lo Stato, e infatti il Ministro degli Interni di allora, Antonio Gava, tentò di riprodurre la medesima trappola che aveva funzionato nel '77 evocando il terrorismo e accusando di terrorismo quella pacificissima e ultra-democratica mobilitazione studentesca. A questa operazione infame si prestarono peraltro (con il cinismo che li contaddistingueva) ex esponenti delle Br: a pochi giorni dall'anniversario dell'assassinio di Bachelet, un ex brigatista intervenne non invitato a un seminario del movimento che si svolgeva a Scienze Politiche, cioè a pochi metri dal luogo dell'agguato, portandosi appresso i fotografi e concedendo interviste ai giornali, così da legittimare l'equazione Pantera-Br proposta da Gava e scatenare contro la Pantera la canea della stampa borghese e della Rai. Solo la grande intelligenza tattica di cui i veri movimenti di massa si dimostrano capaci sventò quel tentativo, e il Movimento romano partecipò in prima persona e con sue parole d'ordine ("Mai più terrorismo!") alla celebrazione del decimo anniversario della morte di Bachelet, e invitò a una sua assemblea Carol Bebe Tarantelli.
Ma il punto politicamente cruciale della Pantera fu la messa in questione del progetto di privatizzazione corporativa dell'Università avanzato dal ministro-rettore Ruberti e sostenuto, in buona sostanza, anche dal Pci; Ruberti segnò in effetti uno dei punti più significativi della effettiva egemonia che il craxismo esercitò in quegli anni sul Pci. Riguardando quel dibattito oggi, venti anni dopo e dopo che i semi di quel progetto hanno dato i frutti amarissimi che sono sotto gli occhi di tutti, risulta chiaro quanto quel movimento avesse ragione e quanto vedesse lontano. La Pantera fu invece lasciata morire, per solitudine, dalla sinistra riformista: nonostante l'ampiezza inaudita delle mobilitazioni (per il numero di Facoltà occupate e per la durata delle occupazioni la Pantera superò di gran lunga anche il '68!) non si riuscì nemmeno a portare in aula la legge di Ruberti, che fu approvata, con la complicità del Pci, direttamente in Commissione. Se si vuole capire ciò che successe poi negli anni Novanta e la sconnessione che si determinò da allora fra sinistra e mondo giovanile, aprendo la strada agli "anni di merda" del craxismo e del berlusconismo, la vicenda della Pantera appare cruciale. Qualcuno scrisse allora (riferendosi alla sinistra riformista) che chi calpesta i fiori non si deve poi sorprendere di non raccogliere i frutti.
Cambiate tutte le cose che sono da cambiare, è auspicabile che dalla lettura di questo libro traggano giovamento i compagni e le compagne protagonisti del movimento dello scorso anno, e soprattutto di quello che verrà (quest'ultimo, come è noto, è per i comunisti sempre il movimento più interessante).
Liberazione 20/06/2010, pag 9
Raul Mordenti
I movimenti hanno poca memoria, e non producono quasi mai la loro storia. Ciò non è affatto casuale: finché il movimento esiste e lotta ha cose più importanti da fare che dedicarsi alla propria memorizzazione, quando esso rifluisce o scompare è troppo tardi perché possa compiere una simile operazione (la memorialistica personale è, evidentemente, tutt'altra cosa e assai meno interessante). Ancora più cogenti e profondi sono i motivi della scarsa produzione storiografica dei movimenti: la storiografia è un'istituzione, e non a caso essa nasce (e vive a lungo) come una funzione dello Stato. Come può un movimento produrre storia che sia storia del movimento, e non storia della sua trasformazione in istituzione? Fatto sta che i movimenti spesso dimenticano, e sono dimenticati, e così va spesso perduto un patrimonio prezioso di conoscenze, con il rischio di ripetere gli stessi errori, senza che sia possibile fare tesoro dell'esperienza collettiva.
Per questo è tanto importante quanto raro il lavoro che ci propone Nando Simeone sul movimento studentesco del 1990, detto "della Pantera" (N. Simeone, Gli studenti della Pantera. Storia di un movimento rimosso , Roma, Alegre, 2010, pp.190, euro 14,00). Simeone, che fu giovane militante e dirigente di quel movimento, ne ricostruisce il contesto storico-politico, i contenuti, il dibattito interno, i nodi irrisolti e anche gli errori, e completa la sua ricostruzione (che, dunque, si presenta come una vera e propria storia) con un'accurata Cronologia, un'esauriente Bibliografia ragionata e anche una preziosa Appendice di documenti elaborati dalla Pantera. È assai originale, e del tutto persuasiva, la ricostruzione delle radici nascoste di quel movimento (a conferma che la "vecchia talpa" lavora anche quando noi non la vediamo); tali radici per Simeone sono da ricercare nella ripresa di lotte studentesche nel 1985 con cui si recuperava finalmente lo specifico scolastico e universitario, per molti, troppi anni disprezzato dalle formazioni della sinistra rivoluzionaria (per paradosso: tutte nate proprio dal '68 studentesco!). La prima travolgente ondata dei Cobas della scuola nel 1987-8 appartiene al medesimo ciclo. Meno convincente sembra a chi scrive la connessione proposta fra il Movimento della Pantera e la "caduta del muro", anche se colpisce il fatto che proprio quella generazione, che avrebbe dovuto celebrare la fine del comunismo, manifestò invece, subito dopo il crollo del "socialismo reale", posizioni decisamente anticapitaliste. È ancora del massimo interesse il nesso che Simeone mette a fuoco fra la Pantera e il '77, o meglio la sconfitta drammatica di quel movimento schiacciato fra Stato e terrorismo di sinistra. Non a caso fra le due date (il '77 e il '90) passa un'intera generazione, come se per tornare a muoversi gli studenti avessero avuto bisogno di dimenticare quella trappola micidiale. Se la ricordava invece molto bene lo Stato, e infatti il Ministro degli Interni di allora, Antonio Gava, tentò di riprodurre la medesima trappola che aveva funzionato nel '77 evocando il terrorismo e accusando di terrorismo quella pacificissima e ultra-democratica mobilitazione studentesca. A questa operazione infame si prestarono peraltro (con il cinismo che li contaddistingueva) ex esponenti delle Br: a pochi giorni dall'anniversario dell'assassinio di Bachelet, un ex brigatista intervenne non invitato a un seminario del movimento che si svolgeva a Scienze Politiche, cioè a pochi metri dal luogo dell'agguato, portandosi appresso i fotografi e concedendo interviste ai giornali, così da legittimare l'equazione Pantera-Br proposta da Gava e scatenare contro la Pantera la canea della stampa borghese e della Rai. Solo la grande intelligenza tattica di cui i veri movimenti di massa si dimostrano capaci sventò quel tentativo, e il Movimento romano partecipò in prima persona e con sue parole d'ordine ("Mai più terrorismo!") alla celebrazione del decimo anniversario della morte di Bachelet, e invitò a una sua assemblea Carol Bebe Tarantelli.
Ma il punto politicamente cruciale della Pantera fu la messa in questione del progetto di privatizzazione corporativa dell'Università avanzato dal ministro-rettore Ruberti e sostenuto, in buona sostanza, anche dal Pci; Ruberti segnò in effetti uno dei punti più significativi della effettiva egemonia che il craxismo esercitò in quegli anni sul Pci. Riguardando quel dibattito oggi, venti anni dopo e dopo che i semi di quel progetto hanno dato i frutti amarissimi che sono sotto gli occhi di tutti, risulta chiaro quanto quel movimento avesse ragione e quanto vedesse lontano. La Pantera fu invece lasciata morire, per solitudine, dalla sinistra riformista: nonostante l'ampiezza inaudita delle mobilitazioni (per il numero di Facoltà occupate e per la durata delle occupazioni la Pantera superò di gran lunga anche il '68!) non si riuscì nemmeno a portare in aula la legge di Ruberti, che fu approvata, con la complicità del Pci, direttamente in Commissione. Se si vuole capire ciò che successe poi negli anni Novanta e la sconnessione che si determinò da allora fra sinistra e mondo giovanile, aprendo la strada agli "anni di merda" del craxismo e del berlusconismo, la vicenda della Pantera appare cruciale. Qualcuno scrisse allora (riferendosi alla sinistra riformista) che chi calpesta i fiori non si deve poi sorprendere di non raccogliere i frutti.
Cambiate tutte le cose che sono da cambiare, è auspicabile che dalla lettura di questo libro traggano giovamento i compagni e le compagne protagonisti del movimento dello scorso anno, e soprattutto di quello che verrà (quest'ultimo, come è noto, è per i comunisti sempre il movimento più interessante).
Liberazione 20/06/2010, pag 9
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