Dai senatori Pdl emendamenti per «graziare» speculatori ed evasori. Il governo: non li votiamo
Stefano Bocconetti
Due condoni: uno fiscale, di quelli che ti consentono di pagare solo due lire di «multa» ma poi non avrai più nulla da temere dalla Guardia di finanza. E un altro condono, stavolta edilizio, col quale sarà «perdonato» chiunque abbia costruito un palazzo abusivo, fosse anche in una zona archeologica. O in un parco. Due condoni, allora, anzi no: uno solo. Due condoni, anzi no: nessuno dei due. O meglio: forse uno solo, ma si vedrà più in là. In pillole è stata questa la giornata politica sul versante economico, sul versante della manovra. Segnata da un'attività frenetica dei deputati della destra che dentro più di duemila emendamenti alla Finanziaria hanno provato ad inserire le misure più becere per fare cassa. Misure nascoste. Salvo poi, fare marcia indietro, tant'è che il governo, una volta che quegli emendamenti sono stati scoperti, è stato costretto a rettificare. Quelle misure non sono state concordate con la maggioranza, sono iniziative «autonome», opera di qualche peones, insomma. Misure che il governo non condivide.
Così mentre gli amministratori comunali hanno deciso di manifestare domani davanti al Senato - e con loro ci sarà anche la Cgil - a Palazzo Madama è andata in scena una vera e propria pantomima. Con una rappresentazione che, appunto, non è cominciata con un discorso ma con dei semplici gesti. Quello di tre deputati del Pdl - guidati da Paolo Tancredi, che non è proprio l'ultimo arrivato, con Cosimo Latronico e Gilberto Picchetto Fratin che l'accompagnavano - che hanno presentato alla segreteria della Commissione Bilancio, dove sta per iniziare la discussione sulla manovra, due emendamenti. Poche righe, sommerse da una marea di altri fogli. Visto che in totale, quando ancora non sono chiusi i termini per la presentazione degli emendamenti, all'ufficio di presidenza della commissione ne sono arrivati più di duemila e cinquecento, la maggior parte dei quali firmati dalla maggioranza. In quelle poche righe i tre senatori di Berlusconi chiedevano di «riaprire i termini per aderire al condono edilizio del 2003, per gli immobili costruiti fino al 31 marzo 2010». Tutto sanato, insomma, anche ciò che è stato costruito l'altro ieri. Non solo ma la sanatoria dovrebbe essere estesa anche alle aree protette. Di più, di più grave (caso che crea un precedente nell'attività legislativa italiana): la «sanatoria» arriva a a comprendere anche i casi di abusi che erano stati precedentemente bocciati. Cioè se qualcuno aveva fatto richiesta di condono e gli era stata respinta, avrebbe potuto ripresentarla. Insomma, stavolta si sarebbe sanuto tutto, anche l'impossibile.
Qualcuno, però - si dice fra i funzionari di Palazzo Madama - si è accorto dell'obbrobrio che si stava preparando. E ha lanciato l'allarme. In pochi minuti le agenzie di stampa, i fax del Senato si sono riempiti di messaggi di protesta. Da quelli della Lega ambiente a quelli dell'opposizione. Parlamentare e no. E alle voci di protesta si sono unite anche quelle dei finiani, l'onorevole Granata in testa. Tutti concordi nel gridare allo scandalo.
E' stato a questo punto che è dovuto intervenire Bonaiuti, sottosegretario alla Presidenza. Che ha cercato di «rilanciare» - sostenendo che c'è un'opposizione parlamentare che scambia gli emendamenti per leggi approvate - ma spiegando anche che quel condono era stato frutto dell'iniziativa di singoli senatori. La maggioranza, insomma, non solo non c'entrava nulla ma era anche contraria. Il colmo lo si è raggiunto poco dopo quando il primo firmatario, Paolo Tancredi, ha spiegato che s'è trattato di un errore. Ha sì firmato l'emendamento ma «in situazione di caos come quelle che si vive in queste ore, spesso si firmano cose che neanche si sa cosa siano...».
Qualcuno ha preso per buona la spiegazione. Ma non è finita. Perché poco dopo, qualcuno - in questo caso i senatori dell'Idv che ormai si erano messi di guardia - si sono accorti che i tre senatori avevano anche presentato un altro emendamento. Pure questo un condono. Che, in due parole, avrebbe riaperto i termini di quello fiscale, il cosiddetto «condono tombale» varato nel 2003 (e che, a detta del Presidente del Consiglio di allora - sempre Berlusconi - sarebbe stato l'ultimo della storia). L'emendamento semplicemente procrastinava i termini della richiesta di «perdono fiscale» a tutto il 2008.
Pure qui, in pochi minuti è scoppiato un putiferio. In questo caso, però, la conclusione della storia non è la stessa: perché stavolta non è intervenuto un esponente di punta del governo. Ma la «smentita» è stata affidata alle parole - poche - di un sottosegretario di Tremonti. Ad un «numero quattro», o giù di lì, del dicastero: Luigi Casero. Che s'è limitato a dettare alle agenzie queste parole. ««Il Governo non accetterà mai la riapertura dei termini per il condono fiscale e per quello tombale proposta nell'emendamento presentato da alcuni senatori». Tutto qui, troppo poco.
Resta l'allarme, dunque. Che non riguarda, ovviamente, solo le ultime boutade della maggioranza. La preoccupazione riguarda l'intera manovra, quei pesantissimi tagli che sono nero su bianco nel documento di Tremonti. E la preoccupazione riguarda anche il fatto che una manovra così penalizzante non possa neanche essere «corretta». Neanche in parte, neanche attraverso il dibattito parlamentare.
Almeno questa è la preoccupazione che muove Giorgio Napolitano. Che ieri, incontrando al Quirinale una delegazione del Cnel, ha formulato una richiesta diretta alla maggioranza. Una richiesta diretta al premier, destinata a sollevare nuove polemiche. Napolitano ha chiesto, insomma, che in queste poche sedute delle Camere prima della pausa estiva si discuta della manovra, si affrontino le questioni economiche. Che interessano al paese. E si metta da parte il resto. Compresa - non lo dice ma il riferimento è esplicito - la norma sulle intercettazioni, che può aspettare. Norma a cui tiene quasi solo il Presidente del Consiglio. Berlusconi non ha replicato, ma lo farà. Si può star certi che lo farà.
Liberazione 22/06/2010, pag 3
Stefano Bocconetti
Due condoni: uno fiscale, di quelli che ti consentono di pagare solo due lire di «multa» ma poi non avrai più nulla da temere dalla Guardia di finanza. E un altro condono, stavolta edilizio, col quale sarà «perdonato» chiunque abbia costruito un palazzo abusivo, fosse anche in una zona archeologica. O in un parco. Due condoni, allora, anzi no: uno solo. Due condoni, anzi no: nessuno dei due. O meglio: forse uno solo, ma si vedrà più in là. In pillole è stata questa la giornata politica sul versante economico, sul versante della manovra. Segnata da un'attività frenetica dei deputati della destra che dentro più di duemila emendamenti alla Finanziaria hanno provato ad inserire le misure più becere per fare cassa. Misure nascoste. Salvo poi, fare marcia indietro, tant'è che il governo, una volta che quegli emendamenti sono stati scoperti, è stato costretto a rettificare. Quelle misure non sono state concordate con la maggioranza, sono iniziative «autonome», opera di qualche peones, insomma. Misure che il governo non condivide.
Così mentre gli amministratori comunali hanno deciso di manifestare domani davanti al Senato - e con loro ci sarà anche la Cgil - a Palazzo Madama è andata in scena una vera e propria pantomima. Con una rappresentazione che, appunto, non è cominciata con un discorso ma con dei semplici gesti. Quello di tre deputati del Pdl - guidati da Paolo Tancredi, che non è proprio l'ultimo arrivato, con Cosimo Latronico e Gilberto Picchetto Fratin che l'accompagnavano - che hanno presentato alla segreteria della Commissione Bilancio, dove sta per iniziare la discussione sulla manovra, due emendamenti. Poche righe, sommerse da una marea di altri fogli. Visto che in totale, quando ancora non sono chiusi i termini per la presentazione degli emendamenti, all'ufficio di presidenza della commissione ne sono arrivati più di duemila e cinquecento, la maggior parte dei quali firmati dalla maggioranza. In quelle poche righe i tre senatori di Berlusconi chiedevano di «riaprire i termini per aderire al condono edilizio del 2003, per gli immobili costruiti fino al 31 marzo 2010». Tutto sanato, insomma, anche ciò che è stato costruito l'altro ieri. Non solo ma la sanatoria dovrebbe essere estesa anche alle aree protette. Di più, di più grave (caso che crea un precedente nell'attività legislativa italiana): la «sanatoria» arriva a a comprendere anche i casi di abusi che erano stati precedentemente bocciati. Cioè se qualcuno aveva fatto richiesta di condono e gli era stata respinta, avrebbe potuto ripresentarla. Insomma, stavolta si sarebbe sanuto tutto, anche l'impossibile.
Qualcuno, però - si dice fra i funzionari di Palazzo Madama - si è accorto dell'obbrobrio che si stava preparando. E ha lanciato l'allarme. In pochi minuti le agenzie di stampa, i fax del Senato si sono riempiti di messaggi di protesta. Da quelli della Lega ambiente a quelli dell'opposizione. Parlamentare e no. E alle voci di protesta si sono unite anche quelle dei finiani, l'onorevole Granata in testa. Tutti concordi nel gridare allo scandalo.
E' stato a questo punto che è dovuto intervenire Bonaiuti, sottosegretario alla Presidenza. Che ha cercato di «rilanciare» - sostenendo che c'è un'opposizione parlamentare che scambia gli emendamenti per leggi approvate - ma spiegando anche che quel condono era stato frutto dell'iniziativa di singoli senatori. La maggioranza, insomma, non solo non c'entrava nulla ma era anche contraria. Il colmo lo si è raggiunto poco dopo quando il primo firmatario, Paolo Tancredi, ha spiegato che s'è trattato di un errore. Ha sì firmato l'emendamento ma «in situazione di caos come quelle che si vive in queste ore, spesso si firmano cose che neanche si sa cosa siano...».
Qualcuno ha preso per buona la spiegazione. Ma non è finita. Perché poco dopo, qualcuno - in questo caso i senatori dell'Idv che ormai si erano messi di guardia - si sono accorti che i tre senatori avevano anche presentato un altro emendamento. Pure questo un condono. Che, in due parole, avrebbe riaperto i termini di quello fiscale, il cosiddetto «condono tombale» varato nel 2003 (e che, a detta del Presidente del Consiglio di allora - sempre Berlusconi - sarebbe stato l'ultimo della storia). L'emendamento semplicemente procrastinava i termini della richiesta di «perdono fiscale» a tutto il 2008.
Pure qui, in pochi minuti è scoppiato un putiferio. In questo caso, però, la conclusione della storia non è la stessa: perché stavolta non è intervenuto un esponente di punta del governo. Ma la «smentita» è stata affidata alle parole - poche - di un sottosegretario di Tremonti. Ad un «numero quattro», o giù di lì, del dicastero: Luigi Casero. Che s'è limitato a dettare alle agenzie queste parole. ««Il Governo non accetterà mai la riapertura dei termini per il condono fiscale e per quello tombale proposta nell'emendamento presentato da alcuni senatori». Tutto qui, troppo poco.
Resta l'allarme, dunque. Che non riguarda, ovviamente, solo le ultime boutade della maggioranza. La preoccupazione riguarda l'intera manovra, quei pesantissimi tagli che sono nero su bianco nel documento di Tremonti. E la preoccupazione riguarda anche il fatto che una manovra così penalizzante non possa neanche essere «corretta». Neanche in parte, neanche attraverso il dibattito parlamentare.
Almeno questa è la preoccupazione che muove Giorgio Napolitano. Che ieri, incontrando al Quirinale una delegazione del Cnel, ha formulato una richiesta diretta alla maggioranza. Una richiesta diretta al premier, destinata a sollevare nuove polemiche. Napolitano ha chiesto, insomma, che in queste poche sedute delle Camere prima della pausa estiva si discuta della manovra, si affrontino le questioni economiche. Che interessano al paese. E si metta da parte il resto. Compresa - non lo dice ma il riferimento è esplicito - la norma sulle intercettazioni, che può aspettare. Norma a cui tiene quasi solo il Presidente del Consiglio. Berlusconi non ha replicato, ma lo farà. Si può star certi che lo farà.
Liberazione 22/06/2010, pag 3
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