In libreria "Diario da Kabul", un viaggio nella guerra
In questi giorni le truppe britanniche di stanza in Afghanistan hanno compianto il loro 300esimo morto. Gli italiani sono più fortunati, gli americani molto meno. I civili afghani, sono i più sfortunati di tutti. In questi giorni da Washington arrivano notizie preoccupate sulla possibilità di cominciare a ritirare le truppe entro il prossimo anno. I talebani, come ogni estate, sono all'offensiva e tutto sembra come era. Se i media avessero attenzione, curiosità, voglia di raccontare, testimoni, giornalisti capaci di farci capire e appassionare, ce ne sarebbero. Uno è Emanuele Giordana, che in questi giorni ha pubblicato un suo "Diario da Kabul" ( Appunti da una città sulla linea del fronte, ObarraO, 10 euro ). Con lui il lettore potrà fare un breve viaggio per le strade polverose della capitale afghana, per i suoi locali notturni per reporter e cooperanti spaesati o scoppiati, per i baldi gorilla delle multinazionali della sicurezza, per i suoi alberghi, per le sua ambasciate e persino nelle sale operatorie degli ospedali pubblici.
Non è un trattato su guerra e pace, non è un rapporto di un think-tank e neppure una cronaca di guerra. E' un diario vero, pieno di incontri, riflessioni, impressioni, personaggi. E' il lavoro di un giornalista che non vuole spiegare il mondo o trasmettere certezze ai lettori, ma dare informazioni - divertenti e curiose - farci scoprire che anche mentre ci si spara, mentre i kamikaze si fanno saltare in aria e i droni colpiscono le grotte sulle montagne, la vita in qualche modo scorre. Nelle case, come nelle caserme, dove scopriamo che i soldati sono sospettosi verso i civili tanto quanto lo siamo noi nei loro confronti, oppure che il contingente spagnolo è più simpatico degli altri. «In Afghanistan ho capito che non ci sono militari buoni o cattivi (tutt'al più c'è una minoranza sempre più esigua di imbecilli gasati) ma soldati che una decisione politica impegna in un determinato teatro». Parlando di un'esperienza in un campo militare dove è finito per tre giorni, Giordana racconta della reazione furiosa ad un suo scritto sul blog su quella permanenza.
Informate e ben fatte sono le pagine sui talebani, per forza di cose meno diaristiche, sulle loro prospettive, sul loro essersi trasformati in forza nazionalista e, alle origini, in forza rassicurante e di ordine in un Paese nel caos, devastato dalla guerra civile e dalla cacciata dei sovietici. «Mi obbligano ad andare in moschea e a vedere le esecuzioni capitali, ma mia figlia torna a casa senza essere aggredita», spiega un ingegnere. Come informate e lucide sono le pagine sul futuro dell'Afghanistan. Giordana è sempre stato contrario all'invasione. Ma oggi è passato del tempo e gli afghani, «ti spiegano di essere favorevoli alla presenza straniera». Tranne i pashtun, i più solidali con i talebani e i più colpiti dal conflitto. Ma anche gli americani vogliono davvero una via d'uscita da una guerra sempre più impopolare. La risposta di Giordana è articolata e senza scappatoie ideologiche in un senso e nell'altro.
Martino Mazzonis
Liberazione 23/06/2010, pag 6
In questi giorni le truppe britanniche di stanza in Afghanistan hanno compianto il loro 300esimo morto. Gli italiani sono più fortunati, gli americani molto meno. I civili afghani, sono i più sfortunati di tutti. In questi giorni da Washington arrivano notizie preoccupate sulla possibilità di cominciare a ritirare le truppe entro il prossimo anno. I talebani, come ogni estate, sono all'offensiva e tutto sembra come era. Se i media avessero attenzione, curiosità, voglia di raccontare, testimoni, giornalisti capaci di farci capire e appassionare, ce ne sarebbero. Uno è Emanuele Giordana, che in questi giorni ha pubblicato un suo "Diario da Kabul" ( Appunti da una città sulla linea del fronte, ObarraO, 10 euro ). Con lui il lettore potrà fare un breve viaggio per le strade polverose della capitale afghana, per i suoi locali notturni per reporter e cooperanti spaesati o scoppiati, per i baldi gorilla delle multinazionali della sicurezza, per i suoi alberghi, per le sua ambasciate e persino nelle sale operatorie degli ospedali pubblici.
Non è un trattato su guerra e pace, non è un rapporto di un think-tank e neppure una cronaca di guerra. E' un diario vero, pieno di incontri, riflessioni, impressioni, personaggi. E' il lavoro di un giornalista che non vuole spiegare il mondo o trasmettere certezze ai lettori, ma dare informazioni - divertenti e curiose - farci scoprire che anche mentre ci si spara, mentre i kamikaze si fanno saltare in aria e i droni colpiscono le grotte sulle montagne, la vita in qualche modo scorre. Nelle case, come nelle caserme, dove scopriamo che i soldati sono sospettosi verso i civili tanto quanto lo siamo noi nei loro confronti, oppure che il contingente spagnolo è più simpatico degli altri. «In Afghanistan ho capito che non ci sono militari buoni o cattivi (tutt'al più c'è una minoranza sempre più esigua di imbecilli gasati) ma soldati che una decisione politica impegna in un determinato teatro». Parlando di un'esperienza in un campo militare dove è finito per tre giorni, Giordana racconta della reazione furiosa ad un suo scritto sul blog su quella permanenza.
Informate e ben fatte sono le pagine sui talebani, per forza di cose meno diaristiche, sulle loro prospettive, sul loro essersi trasformati in forza nazionalista e, alle origini, in forza rassicurante e di ordine in un Paese nel caos, devastato dalla guerra civile e dalla cacciata dei sovietici. «Mi obbligano ad andare in moschea e a vedere le esecuzioni capitali, ma mia figlia torna a casa senza essere aggredita», spiega un ingegnere. Come informate e lucide sono le pagine sul futuro dell'Afghanistan. Giordana è sempre stato contrario all'invasione. Ma oggi è passato del tempo e gli afghani, «ti spiegano di essere favorevoli alla presenza straniera». Tranne i pashtun, i più solidali con i talebani e i più colpiti dal conflitto. Ma anche gli americani vogliono davvero una via d'uscita da una guerra sempre più impopolare. La risposta di Giordana è articolata e senza scappatoie ideologiche in un senso e nell'altro.
Martino Mazzonis
Liberazione 23/06/2010, pag 6
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