mercoledì 21 luglio 2010

Giappone, doccia fredda per Kan. I liberaldemocratici rialzano la testa

Il partito del premier perde più del previsto. Per la Balena bianca nipponica un regalo inaspettato

Matteo Alviti
Quando la realtà supera le peggiori aspettative. Che il Partito democratico giapponese non avesse chance di conquistare la maggioranza dei 121 seggi della camera alta nelle elezioni di "medio termine", era cosa nota. Ma la profondità del tracollo di domenica non l'avevano previsto nemmeno i sondaggi.
Nel voto per il rinnovo di metà del senato, il Pd ha ottenuto solo 44 seggi, dieci in meno di quanti ne avesse prima delle elezioni. Al contrario, con 51 seggi, esce bene dalle urne il Partito liberaldemocratico, che aveva governato il paese per più di cinquant'anni prima della sconfitta dello scorso settembre. Dieci seggi sono andati al Tuo partito, una formazione di esuli del Pld.
Per ora il primo ministro Naoto Kan ha detto di non voler mollare la poltrona, nonostante sia notevolmente diminuito il favore popolare con cui era stato accolto lo scorso mese questo "outsider" - il primo da oltre un decennio a non discendere da una dinastia industriale o politica. Kan vede la sconfitta come un «punto di partenza», anche per nuove alleanze, necessarie per tentare di ritrovare la maggioranza alla camera alta e non dover scendere a compromessi con l'opposizione. Ma con chi? Il già piccolissimo Nuovo partito popolare, alleato dei democratici, ha perso tutti e tre i seggi che aveva, e non è detto che continui a stare nella maggioranza con i tre che gli sono rimasti. Tra i commentatori si sta facendo persino strada l'ipotesi di una grande coalizione con i liberaldemocratici, poco probabile.
Ha scritto bene l'Asia Times: la sconfitta democratica di ieri è un cartellino giallo per il governo, sventolato da elettori noti per la loro apatia politica, ma evidentemente stufi. Un'espressione di dissenso netta, per i recenti scandali che hanno coinvolto importanti membri del partito e portato alle dimissioni dei vertici del Pd. Per l'incapacità mostrata soprattutto dall'esecutivo di Hatoyama - il premier dimissionario a giugno e sostituito da Kan - a risolvere la controversa questione della base statunitense stazionata nel sud dell'isola di Okinawa, a dispetto della volontà popolare. Una protesta contro l'inefficacia della risposta democratica alla crisi economica internazionale e al suo risvolto nazionale - il Giappone, seconda economia mondiale, ha un debito pubblico pari al 200% del pil. E soprattutto contro l'ipotesi di alzare l'iva dal 5% al 10%, eventualità più volte ridimensionata dal premier: l'aumento non è urgente, aveva tentato di spiegare Kan, andrà discusso ed eventualmente approvato più avanti, non prima della prossima elezione della camera bassa, fra tre anni. Niente da fare. Gli elettori non ne vogliono sapere di un rialzo della tassa sui consumi che già nel 1997, quando passò dal 3% al 5%, aveva contribuito a sprofondare il paese in una grave recessione. A nulla sono valsi gli appelli preoccupati del premier: l'economia giapponese è 20, 30 volte più grande di quella greca, aveva detto Kan, se arrivassimo a rischiare il fallimento chi ci potrà mai salvare?
Per Gerald Curtis, professore della Columbia University esperto di questioni giapponesi citato dall'Asia Times, più che una vittoria liberaldemocratica quella di domenica è stata una sconfitta di Kan, che «aveva la possibilità di recuperare ai disastri di Hatoyama e di Ozawa (ex potentissimo leader del partito) e invece è caduto sull'iva». Ora il pericolo per il paese, secondo Curtis, ieri a Tokyo nella sede della stampa internazionale, è che i liberaldemocratici, abbagliati dal risultato elettorale, non completino il percorso di rinnovamento di uomini e programmi iniziato con la sconfitta del 2009. Curtis è anche convinto che non sia tempo di grandi coalizioni: «Perché mai saltare su una barca che sta affondando?», ha detto riferendosi ai liberaldemocratici.
Secondo Rei Shiratori, presidente dell'Istituto per gli studi politici sul Giappone, Kan ha fatto anche l'errore di mostrarsi poco modesto: un proverbio giapponese dice che «quando la piantagione di riso ha un buon seme, ci sarà carestia». Peccato, perché fin qui il Pd aveva fatto alcune cose buone, come eliminare la retta per i licei pubblici e stanziare per le famiglie un contributo di 13mila yen mensili, circa 120 euro, per ogni figlio.
Qualcosa deve cambiare, e in fretta, se il Pd non vuole veder tramontare la sua esperienza di governo entro breve. Ma secondo il segretario di gabinetto di Kan, Yoshito Sengoku, di rimpasti di governo non si parlerà fino a settembre, quando il Pd in congresso sceglierà la sua nuova leadership.

Liberazione 13/07/2010, pag 8

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