lunedì 13 giugno 2011

Centri commerciali: sviluppo senza progresso

Vincenzo Amistà*
Gli amministratori di Afragola hanno sacrificato, nel corso degli ultimi due decenni, parte dei nostri fertili terreni agricoli attirati dal miraggio dello sviluppo, della prospettiva occupazionale e della diffusione del benessere propagandato dalle lobbies della speculazione.
Hanno svenduto l'unica ricchezza che avevamo, e che per secoli ha rappresentato fonte di lavoro e di sostentamento di tante generazioni di lavoratori addetti ai campi.
Passivamente, colpevolmente, spesso spinti da logiche clientelari, hanno lasciato che il nostro territorio venisse devastato, depredato e violentato da venditori di fumo calati dal nord come cavallette affamate.
Il Sud ancora terra di conquiste.
Oggi, volendo fare un bilancio, dopo essere stati additati in passato come Cassandre, possiamo sostenere che esso risulta molto più negativo delle previsioni: le sorti progressive del cambiamento e del benessere sono ben lungi dall'essersi realizzate.
Le cavallette, a cui si sono aggiunti voraci imprenditori locali, ormai sazie, iniziano ad abbandonare, a chiudere "bottega" dopo i facili arricchimenti iniziali legati alla novità. Sbaraccano per approdare verso altri lidi con un unico obiettivo: guadagno facile ed immediato.
Mandi ha chiuso, Castorama pure; altri hanno già cambiato logo e casacca in questi anni e la stessa Ipercoop, cuore e volano di queste strutture del centro commerciale "Le Porte di Napoli", minaccia la chiusura indicando già nella fine del 2011 la data per la dismissione. La direzione della mega struttura parla di ingenti perdite nella gestione subite in questi anni e di un cambio di strategia di mercato, puntando verso strutture più piccole da 50/60 dipendenti, più facili da gestire e più vicino se non dentro le città. Questa è la versione ufficiale.
Quello che omette di dire è che questi carrozzoni possono reggersi solo in presenza di un ricambio di mano d'opera basato sulla precarietà del rapporto di lavoro e del suo basso costo. Qui al sud, a causa della storica mancanza di lavoro, ha dovuto stabilizzare, dopo anni di precariato, tanti lavoratori a contratto a tempo indeterminato trovandosi così ad affrontare problemi di gestione e di costi non compatibili con la propria logica di mercato, ovvero, e lo ripetiamo per essere chiari, avere a disposizione tanti giovani precari da intercambiare, se no tanto meglio chiudere, dismettere, scaricando sulla collettività i costi, ovvero gli esuberi, 300-400 persone, gli scempi urbanistici e la disperazione sociale, in barba a quella responsabilità sociale dell'impresa prevista dall'art. 41 della Costituzione italiana. Tanto «la Coop sei tu».
Queste mega strutture sono state pensate e pianificate come attrazioni da luna-park: gallerie commerciali, vetrine addobbate e luccicanti, martellanti campagne pubblicitarie con continue offerte per poter attirare migliaia di clienti. Un'orgia consumistica in un contesto di assenza di produzione e di reddito.
Ma dietro il luccichio delle vetrine delle gallerie commerciali e dentro i reparti illuminati dalle luci artificiali si aggirano dipendenti sfruttati, alienati, sottopagati con pessimi contratti e spesso, troppo spesso, nelle gallerie, "al nero". Al nero, nonostante l'esistenza di ben 43 tipologie di contratti. Come se solo la parola contratto potesse provocare una rivoluzione, perché è insito nel termine il riconoscimento del lavoratore. E, allora no, l'umiliazione, l'offesa devono essere radicali, complete. Tutto questo succede sotto gli occhi dei sindacati di categoria, degli ispettori del lavoro, di enti ed istituzioni preposti ai controlli. Si ha quasi la sensazione che siano tutti concordi nel non voler disturbare i manovratori.
Questi lavoratori, commesse, scaffalisti, addetti alle vendite, cassieri delle gallerie commerciali, rimangono in "prova" due tre quattro mesi, a ridosso quasi sempre delle maggiori festività e nei periodi dei saldi.
Sspremuti come limoni con turni massacranti di 7 giorni su 7 di lavoro settimanale per poi essere scaricati. E che non protestino, né facciano rivendicazioni o denunce se vogliono essere richiamati la prossima volta! Detto per inciso, ai braccianti agricoli di queste terre, anch'essi sottoposti ad angherie terribili da parte di padroni e caporali, veniva almeno riconosciuta la dignità e la sacralità del riposo domenicale.
A tutt'oggi, dopo che in tutti questi anni mai ci sia stata una vertenza o un tentativo di organizzare un sano conflitto, rimane il silenzio assordante dei sindacati di categoria sia rispetto alle condizioni lavorative in essere sia rispetto alla prospettiva di chiusura.
In conclusione, quale valore aggiunto e cosa hanno prodotto e quale ricchezza hanno portato sul nostro territorio questi mostri commerciali?
Noi sappiamo che hanno succhiato, come parassiti, risorse economiche, mortificato il commercio locale, che hanno ucciso i sogni e le speranze di tanti giovani illusi dalla prospettiva di non dover emigrare verso il nord con la possibilità di realizzare qui, a casa loro, il proprio futuro.
A questo punto, lo scenario per i prossimi anni è davvero inquietante con da un lato altra disoccupazione e disperazione umana e dall'altro uno scempio territoriale da noir fantascientifico, con queste mega strutture fatiscenti, cadenti, invase da detriti. Aree dismesse dopo un solo decennio di attività, mentre magari si progetta di devastare quel poco che è rimasto in prossimità di queste aree per speculazioni edilizie a ridosso della "stazione porta".
Stavolta, per non essere nuovamente Cassandre, chiediamo a chiare lettere agli amministratori, tutti, di questo territorio, i presenti e quelli che ambiscono ad esserne i futuri, che si progetti una buona volta un destino dignitoso per queste terre in nome del bene dell'intera collettività.
*segretario Prc-FdS di Afragola


Liberazione 17/05/2011, pag 8

Nessun commento: