venerdì 10 giugno 2011

Derive & Approdi/2

Dino Greco
Manca, come è ovvio, il riscontro fattuale, ma non vi è ombra di dubbio che, semmai Berlusconi avesse calcato la terra nel ventennio nero, quella fascista sarebbe stata la sponda nella quale egli avrebbe naturalmente militato. Questa in fondo banale eppur tristissima considerazione merita tuttavia una particolare attenzione, giacché un tale Presidente del Consiglio governa da molti anni un Paese formalmente retto da una costituzione che è stata il frutto di una grande lotta di liberazione dall'occupazione nazista, trasformatasi in una vera e propria rivoluzione democratica e antifascista.
La distanza fra i valori resistenziali, poi trapassati nella Carta, e lo stato di cose presente è ormai diventata abissale. E da qualunque angolatura si guardi alle condizioni del Paese non se ne può che trarre una conclusione sconfortante. Ma, fra tutti i rovesciamenti di prospettiva, fra tutte le abiure e i tradimenti, ve n'è uno che è, più di qualunque altro, insopportabile. Parlo della guerra, bandita dal consesso delle nazioni all'indomani del secondo conflitto mondiale e ripudiata dall'articolo 11 della nostra Costituzione.
Ebbene, lunedì, il 25 aprile, il governo ha deciso di cessare i traccheggiamenti e passare al coinvolgimento pieno dell'Italia nella guerra di Libia, partecipando direttamente ai bombardamenti. Nella maggioranza la sola Lega fa la mossa di opporsi, avendo certezza che da questa posizione ricaverà solo vantaggi: quello di entrare in risonanza con la gran parte del popolo italiano senza peraltro mettere in discussione la tenuta del governo che nel Parlamento può sempre contare - ecco il punto - sui voti del Pd. Infatti, Anna Finocchiaro, toccando il culmine dell'ipocrisia, si è subito affrettata ad assicurare che «se verranno confermati i confini della "risoluzione 1973" dell'Onu i Democratici non faranno mancare il proprio assenso». E' noto che la discutibilissima risoluzione che autorizza l'abbattimento dei caccia di Gheddafi che dovessero sorvolare i cieli della Cirenaica altro non è che una foglia di fico, lì posta per coprire, come si è subito visto, un intervento di ben altre dimensioni e che la giustificazione addotta - la protezione della popolazione civile - si è rivelata una volgare bugia.
Ma, con tutta probabilità, ad un voto delle camere neppure si arriverà (con vivo sollievo di quanti desiderano nascondere al più presto lo sporco sotto il tappeto) considerato che persino il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, giudica l'escalation bellica un «naturale sviluppo del conflitto».
In quello che sta accadendo non vi è in realtà nulla di "naturale". Se le pretese ragioni umanitarie, se la ripulsa dei regimi dittatoriali fossero movente credibile, la comunità internazionale dovrebbe scatenare interventi armati contro tutti i paesi che si macchiano di crimini contro il proprio popolo o che violano sistematicamente le risoluzioni delle Nazioni Unite. Ma questo non avviene, ovunque alleanze, interessi e profitti consiglino comportamenti diversi. Così la guerra è tornata ad essere un'opzione ordinaria, una cinica variante della politica, non più un tabù, un confine da non oltrepassare se non a prezzo di mutare sè stessi, di rinnegare quel senso dell'umanità così faticosamente riguadagnato dopo la mattanza della seconda guerra mondiale.
Una volta la sinistra, quella che provò per davvero a farsi tale, aveva compreso che quel punto era discriminante come nessun altro e ne aveva fatto il tratto identitario più limpido del proprio profilo politico. Ma da allora è passato molto tempo e quell'intelligenza delle cose si è persa. Insieme a molto altro. Pace autentica e lavoro degno sono stati per decenni i pilastri sui quali la sinistra ha costruito la propria forza, insegnando ai proletari che di lì passano riscatto sociale e democrazia. E rendendosi capace, per un tratto non breve di storia, di un linguaggio universale.
Lunedì, a Milano, le decine di migliaia di persone accorse in piazza per celebrare il sessantaseiesimo anniversario della Liberazione hanno lungamente contestato i rappresentanti del centrodestra. Ma i fischi non hanno risparmiato Luigi Bersani e il suo più che anemico Pd, dedito da tempo a commentare l'italica deriva, piuttosto che provare seriamente ad arginarla e combatterla.
La via della guerra, abbracciata con tanto stolida disinvoltura, non gli gioverà. Ci sono crinali che una volta discesi è difficile risalire.

Liberazione 27/04/2011, pag 1 e 2

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