venerdì 10 giugno 2011

L’India del futuro punta la conquista dello spazio

Bollywood in the Sky E’ un successo il lancio del missile Pslv, che ieri ha portato tre satelliti in orbita

Matteo Alviti
Quando il missile è partito per sparire poco dopo in cielo, tecnici e scienziati riuniti nella sala di controllo sono esplosi in un urlo di gioia liberatorio. Stavolta è andato tutto per il meglio, nella base spaziale sull'isola di Sriharikota, davanti alle coste dell'Andhra Pradesh, in India. Tutt'altro clima rispetto allo scorso dicembre, quando il lancio di un satellite dalla Cape Canaveral locale, il centro spaziale Satish Dhawan, è finito dopo quarantasette secondo di volo in un boato. E quel che rimaneva del tentativo di raggiungere lo spazio è caduto in pezzi, in diretta tv, nella Baia del Bengala. Settantuno milioni di dollari andati in fumo: il più costoso fuoco d'artificio della storia indiana.
Stavolta il missile targato Nuova Delhi, il Polar Satellite Launch Vehicle (Pslv), è salito in cielo senza esitazioni, portando in orbita ben tre satelliti, a circa 820 chilometri dalla terra. «La missione Resourcesat-23 ha avuto successo», ha annunciato fiero il presidente dell'Organizzazione per la ricerca spaziale indiana, K. Radhakrishnan.
E si tratta di un successo importante per Nuova Delhi, come non ha mancato di far notare il primo ministro indiano Manmohan Singh: «Un'ulteriore dimostrazione delle avanzate capacità del nostro programma spaziale nazionale». Ma c'è di più. L'India vede il programma di esplorazione dello spazio un po' come è stato in passato per le grandi superpotenze nemiche, Usa e Russia, negli anni sessanta. E cioè come un simbolo che rende evidente e rafforza il suo ruolo di grande potenza, ormai pienamente emersa, nel consesso internazionale. L'India trova una sua identità di grande nazione anche attraverso la conquista dello spazio. Un tema che del resto rende orgogliose molte persone, raccontano le cronache dei giornali locali, svegliandone il senso di appartenenza patriottica. Insomma non c'è più solo il cricket - disciplina in cui, tra l'altro, ha appena vinto un mondiale. L'India vuole assaltare il cielo.
Oggi la corsa alle stelle si è spostata nel continente asiatico. E dopo i recenti tagli al budget della Nasa, che hanno fatto sostanzialmente sfumare l'allunaggio a stelle e strisce di cui era parlato per il 2020 - a più di quarant'anni dal primo - a competere sono rimaste Nuova Delhi e Pechino. Una corsa allo spazio in salsa asiatica, con l'India nel ruolo di inseguitrice della Cina, di cui i media praticamente non si occupano. Ma che è un ulteriore importante indice dei nuovi equilibri economici mondiali.
Sullo spazio Nuova Delhi sta puntando uomini, mezzi e risorse finanziarie. Uomini soprattutto: entro il 2016 il paese dell'Asia meridionale spera di poter mandare in orbita la prima missione guidata da astronauti. La competizione è dura: nel 2003 la Cina aveva segnato un punto importante inviando, dopo Usa e Unione Sovietica, un uomo nello spazio. Ma del resto l'India è stato il quarto paese a piantare la propria bandiera sulla luna. Prima di lei solo Stati Uniti, Russia e il tecnologicissimo Giappone.
L'India ha iniziato il suo programma spaziale nel lontano 1963. E solo nel 1980 ha lanciato in orbita il primo satellite. L'ingresso, invece, dell'Agenzia spaziale indiana nel lucroso mercato internazionale dei lanci commerciali è molto più recente. E' iniziato nell'aprile del 2007, con un satellite italiano, l'Agile, che sta ancora raccogliendo informazioni sull'origine dell'universo.
Già a quel tempo gli avversari dell'India nel mercato dei lanci commerciali erano paesi come gli Stati Uniti, la Russia, la Francia, la Cina e il Giappone. Ma rispetto ai concorrenti diretti l'Agenzia spaziali indiana aveva - ed ha - diversi vantaggi. Come la collocazione geografica della base spaziale di Sriharikota, vicina all'equatore. E il fatto che il missile Pslv offra una capacità di carico maggiore dei concorrenti. Senza contare che i lanci spaziali commerciali indiani oltre all'affidabilità offrono costi molto contenuti rispetto ai concorrenti. Nel 2007 Giovanni Bignani - allora a capo dell'Agenzia spaziale italiana, poi fatto fuori dalla ministra Gelmini l'anno dopo - celebrò i costi contenuti dell'operazione: 16 milioni di dollari, di cui solo 11 a carico dell'Italia.
E a proposito del lancio di ieri: il più importante dei tre satelliti portati in orbita è il Resourcesat-2, che studierà l'impatto degli esseri umani sulle risorse naturali della terra. Sul Pslv erano però alloggiati anche un secondo satellite che nasce dalla cooperazione tra India e Russia, per studi atmosferici e stellari, e un terzo prodotto dalla Università della tecnologia Nanyang, di Singapore.


Liberazione 21/04/2011, pag 4

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