venerdì 10 giugno 2011

Nel mondo arabo la battaglia per la democrazia si combatte anche con le parabole

Indagini "Media e Oriente" di Andrea Morigi e Hamza Boccolini

Guido Caldiron
L'ultimo esempio arriva ancora in queste ore dalla Siria, dove solo video amatoriali e immagini riprese talvolta con i telefonini riescono a documentare la feroce repressione scatenata dal regime guidato da Bashar al Assad contro i manifestanti che chiedono riforme politiche e sociali. Nell'era della rete e della comunicazione globale ci sono intere parti del mondo che rappresentano altrettanti "buchi neri" dal punto di vista della possibilità di informare ed essere informati o anche soltanto dalla più banale prospettiva di sapere esattamente se un determinato fatto si è prodotto o meno in questo o quel luogo.
Se blogger e videomaker sono stati fin qui gli occhi e le voci della rivoluzione democratica che si è messa in marcia in molte parti del mondo arabo, non si può dimenticare come una piccola trasformazione silenziosa si era già prodotta nell'universo totalitario che regna in una parte delle società della sponda meridionale del Mediterraneo grazie allo sviluppo della televisione satellitare e alla successiva diffusione delle antenne paraboliche. E' stato grazie alle parabole che i cittadini di paesi in cui non esiste traccia alcuna della libertà di stampa hanno cominciato a poter ascoltare voci alternative a quelle dei regimi che li governano o che vicende tragiche come le guerre in Iraq o Afghanistan hanno conosciuto una narrazione "non embedded" attraverso le cronache di Al Jazeera. Certo, per quella stessa via - è stato più volte osservato polemicamente - sono passati anche i messaggi video dei leader di Al Qaeda e la predicazione degli imam fondamentalisti come l'egiziano al Qaradawi. Ma, si potrebbe replicare, il bello della libera espressione delle idee è proprio che la censura non dovrebbe colpire nessuno. E che, nel mercato delle news, tutte le opinioni hanno un loro valore.
Quel che è certo è che grazie alle nuove tv globali, proprio come già accaduto in Occidente con il modello Cnn, anche molti paesi arabi hanno conosciuto nell'ultimo decennio una sorta di primavera democratica virtuale. Oggi sappiamo però che non si era trattato solo di un ballon d'essai, ma dell'annuncio di una profonda trasformazione sociale e culturale che ora è sotto gli occhi di tutti.
Se c'è stato perciò un tempo in cui Donald Rumsfeld e i neocons di Washington bollavano Al Jazeera come la "voce dei terroristi", con il passare degli anni il moltiplicarsi delle parabole ha cominciato ad impensierire soprattutto emiri e rais, autocrati e generali del Medio Oriente come del Maghreb. Questo perché lo sviluppo embrionale di un'opinione pubblica in paesi retti da decenni da dinastie familiari o militari o anche la semplice documentazione delle difficili condizioni di vita della popolazione o delle forme assunte dalla repressione dei dissidenti, significava da sola la rottura di un'ordine simbolico dello status quo. E non è un caso che gli oppositori ai regimi arabi, costretti all'esilio pena il rischio della vita, abbiano fin qui usato questa via per rivolgersi ai loro concittadini o che la prima "piazza della democrazia" del Cairo, prima ancora che la folla che voleva cacciare Mubarak occupasse piazza Tahrir, abbia trovato posto in uno studio televisivo.
Pur scontando un'impostazione culturale decisamente "di parte", Andrea Morigi e Hamza Boccolini offrono perciò uno strumento utile a comprendere la realtà delle nuove televisioni arabe nel loro Media e Oriente, il volume che hanno appena pubblicato per Mursia (pp. 130, euro 12) e che è stato presentato recentemente in anteprima al Festival del giornalismo di Perugia.
Da Al Jazeera, la tv finanziata dall'Emirato del Qatar e leader del settore con oltre 40 milioni di spettatori dichiarati, a Al Arabiya, l'emittente saudita di Dubay a Al Aqsa, l'arma mediatica di Hamas nel conflitto con Israele a Al Zawraa, una delle voci della "resistenza irachena", Morigi e Boccolini ci propongono un viaggio tra gli oltre 700 canali satellitari che diffondono quotidianamente trasmissioni in lingua araba verso decine di milioni di antenne paraboliche installate sui tetti del Medio Oriente, come sulle case degli immigrati in Europa. Tv che ogni giorno violano più o meno apertamente le rigide leggi in vigore in molti paesi. Perché, come spiegano gli autori di Media e Oriente «Algeria, Arabia Saudita, Bahrein, Iraq, Kuwait, Libia. Oman, Qatar, Siria, Tunisia ed Emirati Arabi Uniti consentono l'esercizio di una censura preventiva dell'informazione da parte del governo. Mentre in Arabia Saudita, Kuwait, Marocco, Oman, Qatar e negli Emirati è possibile anche la sospensione della pubblicazioni per via amministrativa. Tali restrizioni legislative si estendono anche alle trasmissioni audiovisive e alla libertà d'espressione in generale, in nome dell'interesse pubblico, della sicurezza nazionale, della purezza dottrinale così come viene intesa dai giurisperiti coranici o semplicemente per motivi ideologici».


Liberazione 08/05/2011, pag 3

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