venerdì 10 giugno 2011

La liquidazione d'oro del banchiere di dio

Geronzi, Prc: «Vegognoso. C'è chi vive con stipendi da fame»

Fabio Sebastiani
Il day after del Leone è affollato dalle notizie sulla successione a Cesare. In pole position c'è Gabriele Galateri, attuale presidente di Telecom. Gli altri sono Mario Monti e Roland Berger. Quasi nessuno si accorge però che invece delle pugnalate stavolta c'è un vecchio imperatore che se ne va con una buonuscita di quasi diciassette milioni. E' più o meno la stessa cifra che prese quando dovette lasciare la Banca di Roma, inseguito dalle indagini giudiziarie su Parmalat e Cirio. Solo che nello scranno più alto dell'istituto bancario rimase per diversi lustri. Per quanto è durato il suo dominio in Generali, tra i massimi del settore assicurativo internazionale e passaggio obbligato per quanti in Italia intendono fare finanza di alto livello e interecciare rapporti importanti nella zona grigia tra politica e denaro, fanno cinquantamila euro al giorno. Un vero e proprio magnate non certo estraneo all'etichetta dell'ambiente. Al momento di mettere piede a piazzetta Cuccia, sede di Mediobanca, di cui è stato presidente, a Milano chiese per sé quattro autisti (due a Roma e due a Milano) e un aereo privato. E' troppo poco per uno che non perdeva occasione di ricordare la sua profonda, e sentita, fede cattolica? Per una compagnia di assicurazioni che ha chiuso l'ultimo bilancio con 400 miliardi di attivo la liquidazione a Geronzi sono coriandoli. Meglio di lui hanno fatto solo Cesare Romiti (101 milioni) e Matteo Arpe, appena sopra l'ex presidente di Generali.
«Se questo dato corrisponde al vero - commenta Paolo Ferrero, segretario del Prc - ci troviamo di fronte ad un vero e proprio insulto ai cittadini italiani che debbono vivere con stipendi da fame». «Si tratta di una situazione vergognosa ed intollerabile e rivendichiamo - aggiunge Ferrero - che il parlamento metta un tetto alle retribuzioni e ai premi ai manager, altrimenti sarà corresponsabile di questo schifo».
La stampa internazionale dedica ampio spazio alle dimissioni, sottolineando che si tratta di una svolta gravida di conseguenze importanti per la finanza italiana. «Generali guarda a una nuova era di maggiore calma», titola in prima pagina il Financial Times. Secondo il quotidiano finanziario le dimissioni e la spaccatura del board sono state «sensazionali, anche per gli standard della finanza italiana, generalmente caratterizzata "da cappa e spada"». Per il Wall Street Journal titola l'interrogativo è se Generali possa «continuare ad essere il retrobottega finanziario della impresa Italia, proprio mentre le banche si preparano ad aumentare di miliardi di euro il loro capitale».
L'uscita di Geronzi se da una parte dà ossigeno al cosiddetto "salotto buono" del capitalismo italiano, dall'altra lascia ancora aperto il campo di battaglia. Non va dimenticato che Cesare Geronzi rappresenta la propaggine di quei "bachieri di Dio" nella cui scuderia hanno militato personaggi Guido Calvi. Non a caso tra i suoi legami attuali ricompare Antonio Fazio, chiamato alla guida del comitato scientifico della Fondazione Generali.
«L'uomo, comunque, per le relazioni che ha - sottolinea Elio Lannutti, oggi deputato dell'Idv e un tempo alla guida dell'Adusbef - non è affatto finito. Ricordiamoci che non è stato il banchiere "del" potere, ma "di tuttì i poteri"». Geronzi, infatti, non ha mancato di avere stretti rapporti con settori importanti dei Ds.
In prospettiva, però, il senatore Idv sottolinea la necessità che «il sistema bancario italiano esca dalla condizione di foresta pietrificata o cimitero di pachidermi di un capitalismo asfittico come quello italiano. Ci vuole un deciso cambio di mentalità ma soprattutto qualcuno che riesca a far rispettare le regole e imponga i controlli a tutti i livelli, altrimenti questo Paese non si salva».
Per Agostino Megale, segretario dei bancari della Cgil, non ha problemi a dire che con le dimissioni di Geronzi entra «aria nuova nel sistema», ma invita a non abbassare la guardia. «Bisogna far si che il sistema bancario non continui ad essere appannaggio di una politica che non vede l'ora di allargare la sua influenza». Il riferimento è a Tremonti, che in perfetto stile "democristiano" è già pronto a saltare sul carro del vincitore. E quindi c'è da stare preoccupati? «Sì, perché se si affermasse quel tipo di linea a soffrirne sarebbero gli interessi del paese e di un sistema finanziario socialmente responsabile».
In questo puzzle non va dimenticato che nei processi in cui compare Cesare Geronzi cè la richiesta di una condanna ad otto anni per bancarotta fraudolenta (Cirio, la sentenza è attesa per maggio) e una accusa di bancarotta nella vicenda di Ciappazzi a Parmalat.


Liberazione 08/04/2011, pag 6

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