venerdì 10 giugno 2011

«Riforme rischiose ma inevitabili»

Alessandra Riccio Condirettrice del periodico Latinoamerica

Non è una "seconda rivoluzione" cubana. La prima è stata troppo importante per essere paragonata a qualsiasi altro cambiamento che riguardi l'arcipelago caraibico, per quanto storico sia. Ma con questo sesto congresso del Pcc è stato compiuto un passo «da cui non si tornerà più indietro», ci ha spiegato Alessandra Riccio, condirettrice, insieme a Gianni Minà, della rivista Latinoamerica ed ex professoressa di Lingue e letteratura spagnola all'università di Napoli "L'Orientale".

Un congresso che arriva 14 anni dopo il quinto, portando novità molto rilevanti. Perché proprio oggi?
Da un punto di vista del giorno, c'è la ricorrenza della vittoria della Baia dei Porci, cinquant'anni fa. E Cuba tiene molto al simbolismo. Se invece intendevi in termini più generali, il congresso si stava preparando da quasi due anni. In tutto questo tempo c'è stata un'enorme attività nel paese per lavorare sulle tesi, discusse dai sindacati, dai Centri di lavoro, dai Comitati di difesa, dalla Federazione delle donne, dalla Gioventù studentesca, da tutte le organizzazioni di massa. C'è stato poi un dibattito molto serrato che si è svolto via internet da parte di cittadini e intellettuali che volevano far sentire la propria voce. E una delle richieste più forti era proprio quella di una partecipazione maggiore della cittadinanza. Che sia avvenuto oggi e non prima dipende da una serie di fattori: dalla caduta del campo socialista, ai cambiamenti della politica estera internazionale, con una sola superpotenza. C'è sicuramente anche un ritmo lentissimo, dovuto a una prudenza molto forte su tutti i cambiamenti, che pure sono necessari. E infine c'è stata la malattia di Fidel.

Oggi il processo di riforme era diventato però inevitabile.
Certamente. In un discorso di un paio di anni fa, Fidel Castro non diceva siamo vicini al baratro, ma proprio «siamo davanti al baratro». E nell'intervento di oggi Raul ha detto la stessa cosa: non c'è altro da fare che non siano le riforme. E sembra che i più duri a esser convinti siano stati proprio i dirigenti anziani.

A proposito, uno dei cambiamenti più importanti riguarda il limite dei due mandati e un generale svecchiamento della classe dirigente, che inizia con ritardo, ha ammesso Raul.
Credo che il paese sia molto maturo per questo cambiamento. Sembra però che non ci siano ancora politici carismatici e di rilievo in grado di prendere in mano le redini del paese. Comunque sia, a Cuba c'è un grande rispetto per la storia degli anziani dirigenti, mostri sacri che hanno dato prova in tutti i modi della loro fedeltà alla rivoluzione. La prudenza nei cambiamenti ha le sue ragioni: quel paese continua a essere sotto attacco, non è un pretesto. Gli Usa continuano a dire senza remore che lavorano per far cadere il governo socialista.

Quali sono le sfide più importanti che deve affrontare Cuba per rimanere una repubblica socialista nel terzo millennio?
Cuba non poteva vivere solitaria con il suo sistema economico socialista contro il mondo che le stava intorno. Purtroppo deve stare nel mercato. Dico purtroppo perché questo avrà dei costi sociali. In questo momento a Cuba c'è chi attende con ansia e speranza di potersi comprare un'auto, un cellulare, di organizzarsi la vita. Ma c'è anche chi è molto preoccupato, chi era abituato a essere garantito in tutto, per gli studi dei figli o la salute della nonna. La scommessa sarà quella di riuscire, nei prossimi cinque anni di riforme, a controllare da una parte chi ha voglia di intrapresa e libero mercato, di arricchirsi insomma. E dall'altra continuare a garantire tutti gli altri, più bisognosi e sprovveduti. Questa è la vera scommessa.

Cosa ci possiamo aspettare per il futuro dell'arcipelago?
Il rischio è che Cuba diventi un paese come gli altri. Io mi aspetto invece che continui a essere, in quel contesto, un paese con un livello culturale generale molto alto, con una grande coscienza civica. Certo, con i difetti che hanno tutti. Ma se la lasceremo in pace continuerà a essere per il resto dell'America Latina quel che rappresenta oggi: un posto dove si è investito sul capitale umano.
m.al.


Liberazione 20/04/2011, pag 4

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