mercoledì 15 giugno 2011

Il nucleare uccide anche quando non esplode

Mauro Mocci*
Quando in una centrale nucleare succedono incidenti con danni gravissimi - Tree Miles Island nel 1979, Chernobyl nel 1986 o Fukushima - solo qualche prezzolato giornalista minimizzatore non si rende conto della estrema pericolosità del "nucleare". Il rilascio in ambiente di quantità enormi di materiale radioattivo provocherà tumori, malformazioni, cardiopatie ecc... che si manifesteranno anche dopo decine di anni, coinvolgendo purtroppo anche le incolpevoli generazioni future non esposte, e che necessiterà di centinaia di anni per riportare l'ambiente in condizioni di vivibilità e poter riprendere le attività agricole, la pesca, l'allevamento.
Soltanto per l'evento di Fukushima, la contaminazione radioattiva potrebbe causare oltre 400mila casi di cancro nei prossimi 50 anni in raggio di 200 km dalla centrale (Studio recentissimo di Chris Busby, segretario scientifico Ecrr, comitato indipendente di scienziati.)
Quello che invece si sono chiesti da anni gli studiosi degli effetti del nucleare, è che cosa succede in una centrale che funziona "normalmente", senza incidenti. Che effetto può avere sui lavoratori e sulle popolazioni che vivono intorno agli impianti. Ebbene, si sono succeduti numerosi lavori epidemiologici, spesso purtroppo non completamente indipendenti, che hanno tentato di dare una risposta ai tanti dubbi di innocuità. Alla fine degli anni 80, nel Regno Unito, alcuni studi misero in evidenza un aumento di incidenza di casi di leucemia infantile vicino a centrali elettriche nucleari. Nel 2002, in Germania, la pressione esercitata dall'opinione pubblica indusse il governo tedesco a commissionare al Childhood Cancer Registry della University of Mainz (Magonza), uno studio caso-controllo per valutare l'incidenza del cancro intorno alle 16 centrali nucleari commerciali allora in attività. Nel 2008 è stato pubblicato lo studio: Kikk (Kinderkrebs in der Umgebung von Kernkraftwerken = tumori infantili nelle vicinanze di impianti nucleari) che aveva esaminato tutti i tumori insorti attorno a tutti i 16 reattori nucleari tedeschi tra il 1980 e il 2003. Nelle conclusioni si rilevava un incremento di 1.6 volte dei tumori solidi (soprattutto di tipo embrionario) e di 2.2 volte delle leucemie tra i bambini di età «5 anni residenti entro 5 km da tutti gli impianti (più del doppio dei casi rispetto ad aree controllo, distati dai reattori).
Successivamente alla pubblicazione dei preoccupanti risultati dello studio Kikk, iI Federal Minister for the Environment, Nature Conservation and Nuclear Safety, ha incaricato la Commission on Radiological Protection di riesaminare i dati dello studio. Nel settembre 2008 la Commission on Radiological Protection ha pubblicato i risultati della rielaborazione confermando l'aumento di incidenza del cancro infantile osservata nella studio originale.
Lo studio ha suscitato un ampio dibattito in Germania ed ha ricevuto grande attenzione nella comunità scientifica mondiale, ma purtroppo scarsa attenzione altrove, perché si è trattato di uno studio molto dal punto di vista epidemiologico. Primo perché ha esaminato tutti i tumori con una accurata misurazione delle distanze tra le abitazioni dei casi di malattia e le centrali (593 bambini afferri da leucemia e 1.766 controlli), poi perché è il primo ad avere esaminato la relazione distanza/rischio, e soprattutto perchè è stato uno studio indipendente, commissionato dall'Agenzia per la radioprotezione del Governo Federale Tedesco e la validità dei suoi risultati è stata ammessa dallo stesso Governo.
Le cause di tali evidenze non sono chiare e, chi contesta le conclusioni, fa riferimento ai bassi livelli di radiazioni medie misurate intorno alle centrali.
Ci sono varie ipotesi, ed una delle principali motivazioni di quanto sta accadendo, è l'esposizione della donna durante la gravidanza. Potrebbe esserci un effetto teratogeno da parte dei radionuclidi sui tessuti dell'embrione e del feto, come suggerito dal riscontro di un aumentato tasso di carcinomi embrionari. Probabilmente i responsabili potrebbero essere i molto pericolosi i picchi di H3 (Trizio ) e C14 (Carbonio) che vengono registrati circa una volta l'anno, in occasione del rifornimento di combustibile nucleare. Come dimostrato da altri studi, le concentrazioni di H3 nel feto sono maggiori del 60% di quelle della madre.
Ad oggi i dati sulla radiosensibilità dell'embrione e del feto provengono per lo più da studi sugli effetti dell'esposizione a raggi X sull'addome nel terzo trimestre, mentre ci sono pochi dati sul rischio emergente dall'esposizione in utero dall'interno (i radionuclidi incorporati dalla madre); inoltre è stato stimato che il rischio nel primo trimestre sia cinque volte maggiore.
Inoltre la maggiore radiosensibilità del midollo e del tessuto linfatico embrionari, ricchi di cellule staminali le cui mutazioni potrebbero essere trasmesse ai globuli bianchi. In conclusione gli spikes delle centrali nucleari marcherebbero i tessuti embrio-fetali, particolarmente quello ematopoietico, e i bambini potrebbero nascere con alterazioni preleucemiche. Lo studio KiKK suscita molti interrogativi.
Gli autori si auspicano che altri studi in altre paesi produttori di energia da impianti nucleari raccolgano dati epidemiologici e stimino dosi e rischi delle emissioni episodiche di radionuclidi, le dosi che arrivano al tessuto ematopoietico embrionale e i susseguenti rischi.
In seguito all'aumento statisticamente significativo, già rilevato in Italia, del tasso di incidenza del cancro nella fascia di età 0 -14 anni, sembra veramente opportuna l'applicazione del Principio di Precauzione al fine di evitare un eventuale, non escludibile ulteriore incremento dei tumori infantili. La Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia Europea applicano con fermezza questo principio che entra in contrasto con la costruzione di nuove centrali nucleari. Secondo la Direttiva 2003/35/Ce del Parlamento Europeo, al fine di contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere, deve essere garantito anche il diritto di partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale: le popolazioni devono essere informate che, alla luce delle più recenti evidenze scientifiche, non è possibile escludere un aumento del rischio di cancro in coloro che risiedono nei pressi di un impianto nucleare.
Qualora si proseguisse nella volontà di costruire nuove centrali nucleari in Italia, la popolazione che vive vicino ai siti designati (in particolare i bambini), dovrà essere sottoposta ad uno stretto controllo epidemiologico per valutare precocemente l'incidenza di neoplasie maligne. E se si volesse fare una corretta informazione, bisognerebbe consigliare alle donne di andare a vivere lontano dai reattori da prima del concepimento fino ad almeno quando il nascituro non avrà compiuto qualche anno, o addirittura, per chi ha vissuto per anni nei pressi di una centrale, sconsigliare una gravidanza o quantomeno avvertirla del rischio.
*medici per l'ambiente, Isde (International Society of Doctors for the Environment)


Liberazione 29/05/2011, pag 18

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