venerdì 10 giugno 2011

Una condanna irreversibile delle politiche repressive

La sentenza: la sanzione penale non può essere lo strumento per governare fenomeni complessi

Fulvio Vassallo Paleologo*
La Corte di giustizia Ue ha stabilito che la direttiva 2008/115/Ce sul rimpatrio dei migranti irregolari «osta ad una normativa nazionale che punisce con la reclusione il cittadino di un paese terzo in soggiorno irregolare che non si sia conformato ad un ordine di lasciare il territorio nazionale. Una sanzione penale quale quella prevista dalla legislazione italiana può compromettere la realizzazione dell'obiettivo di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali». In altri termini la "cattiveria" di Maroni, con l'inasprimento di tutte le sanzioni penali introdotto dai diversi "pacchetti sicurezza", e la criminalizzazione di qualunque ipotesi di irregolarità, hanno solo prodotto clandestinità e non sono servite, oltre alle vittorie elettorali, ad assicurare una efficace politica dei rimpatri. Adesso lo dice anche l'Ue.
La pronuncia della Corte prevale sulla normativa interna ed i giudici che dovranno occuparsi nei prossimi giorni di convalide di respingimenti, espulsioni e misure di trattenimento dovranno tenere conto dei principi affermati dai giudici europei. Secondo la Corte il giudice incaricato di applicare le disposizioni Ue e di assicurarne la piena efficacia, dovrà disapplicare ogni disposizione nazionale contraria al risultato della direttiva (segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni) e tenere conto del principio dell'applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.
La decisione della Corte costituisce una condanna irreversibile delle politiche repressive e demagogiche adottate negli ultimi anni dai diversi governi in materia di immigrazione irregolare, successivamente aggravato dal pacchetto sicurezza (legge 94/2009). Si afferma per la prima volta il principio che la sanzione penale non può costituire lo strumento per governare fenomeni complessi che richiedono un giusto equilibrio tra l'efficacia degli interventi ed il rispetto dei principi fondamentali della persona umana, da riconoscere senza deroga alcuna anche agli immigrati irregolari. Appare importante l'affermazione secondo la quale «se è vero che la legislazione penale e le norme di procedura penale rientrano, in linea di principio, nella competenza degli stati membri, su tale ambito giuridico può nondimeno incidere il diritto dell'Unione». In base alla direttiva comunitaria sui rimpatri, che vieta qualunque automatismo nella sanzione penale e nelle misure limitative della libertà personale, indicando la necessità del preventivo esperimento del rimpatrio volontario, salvo casi indicati tassativamente, «... tale privazione della libertà deve avere durata quanto più breve possibile e protrarsi solo per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio».
La sentenza non tocca, per ora, il reato contravvenzionale di clandestinità introdotto nel 2009 con l'art. 10 bis, ma anche su questa norma pende un giudizio di rinvio davanti alla Corte di Lussemburgo, e se la Corte non adotterà valutazioni di bilanciamento politico, ma resterà coerente con i principi enunciati nella sentenza di ieri, anche questo reato, nella sua attuale formulazione, dovrà essere dichiarato in contrasto con la Direttiva sui rimpatri. La decisione dei giudici di Lussemburgo ha infatti una portata molto ampia. La Corte ricorda che «al giudice del rinvio [...]spetterà disapplicare ogni disposizione del D.Lgs 286/98 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l'art. 14, comma 5 ter».
Anche la materia dei trattenimenti nei Cie o nelle strutture improprie nelle quali in queste ultime settimane sono stati rinchiusi i migranti che si voleva respingere o espellere, è fortemente incisa dalla sentenza emessa ieri. Effetti rilevanti si avranno anche nelle carceri. Coloro che sono colpevoli soltanto di inottemperanza all'ordine di lasciare entro 5 giorni il territorio (il cosiddetto foglio di via) dovranno essere rilasciati. Occorrerà promuovere le istanze di scarcerazione per chi è detenuto in attesa di giudizio o per effetto di sentenza definitiva per il reato commesso dopo il 24/12/2010, data ultima per il recepimento della Direttiva rimpatri.
Finalmente, la criminalizzazione degli immigrati irregolari, detenuti solo per non avere ottemperato all'ordine di allontanamento del Questore, dovrebbe cessare. Occorrerebbe ora denunciare al giudice penale le espulsioni adottate o eseguite, senza provvedimenti formali, o non conformi alla direttiva rimpatri, e sollevare eccezioni di costituzionalità nei giudizi in corso, su tutta la disciplina dei rimpatri forzati e della detenzione amministrativa contenuta nel T.U. sull'immigrazione, magari sulla base delle stesse considerazioni svolte dalla Corte di Giustizia, per effetto del richiamo degli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione che affermano il primato del diritto comunitario.
Non conviene comunque cantare vittoria troppo presto, facile che Maroni e soci intervengano con apposito decreto legge, e c'è il timore che il Presidente della Repubblica firmi qualsiasi provvedimento in materia di immigrazione. Su questo è facile prevedere che il governo si possa ricompattare. Del resto per la Lega, l'unico vero motivo per dire no ai bombardamenti sulla Libia è la paura dell'immigrazione che Gheddafi potrebbe "scagliare" contro il nostro paese. Occorre organizzare comitati regionali di difesa legale, intesi come reti d'urgenza, in collegamento con i movimenti antirazzisti. In Sicilia ci stiamo provando. Offrire una risposta diffusa sui territori anche per battere il senso comune, che dopo questa sentenza si sentirà defraudata della fallimentare politica del "rigore", come certifica adesso anche la Corte Ue, adottata da questo governo e mai abbastanza contrastata dalle opposizioni.
*Università di Palermo


Liberazione 29/04/2011, pag 2

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