venerdì 10 giugno 2011

La guerra della cioccolata decisa dalle multinazionali

Costa d'Avorio Il bunker di Gbagbo da ieri è sotto assedio

Matteo Alviti
Per essere nero è nero, almeno nella fase finale della lavorazione. E che sia oro non lo mette in dubbio nessuno, in Costa d'Avorio, che è il primo produttore di cacao al mondo, con il 40% del totale messo in commercio.
A ogni paese il suo oro nero. E se nella Libia di Gheddafi il suolo bombardato dagli aerei francesi (tra gli altri) nasconde riserve di petrolio tra le più importanti al mondo, la terra ivoriana bombardata dagli elicotteri francesi (tra gli altri) produce un altro tipo di oro nero. Altrettanto prezioso. Sia per gli oltre venti milioni di abitanti del paese, che per l'industria multinazionale della cioccolateria.
La Costa d'Avorio ricava ogni anno dal commercio del cacao circa 150 milioni di dollari di tasse da un giro d'affari che supera i 4 miliardi di dollari. Dal loro oro nero gli ivoriani spremono il 22% del prodotto interno lordo. E se la guerra civile in corso ha sicuramente rallentato il commercio, stando alle previsioni pubblicate dall'International cocoa organisation, per la stagione 2010/11 nel paese africano che si affaccia sul golfo di Guinea saranno comunque prodotti 1,32 milioni di tonnellate di fagioli di cacao.
Paradossalmente si potrebbe dire che la guerra abbia reso più ricchi gli ivoriani. Almeno virtualmente, visto che i contadini continuano a spaccarsi la schiena per una miseria. E che l'embargo sul commercio del cacao proclamato da Ouattara lo scorso gennaio per tagliare parte delle ricchezze di Gbagbo, e accolto dall'Unione africana, dall'Ue e dall'occidente, ha praticamente sospeso il commercio. Il prezzo del cacao, infatti, è costantemente cresciuto dalle elezioni dello scorso novembre. Allora era iniziato il confronto armato tra il presidente in carica da dieci anni, Laurent Gbagbo, sconfitto nelle urne ma aggrappato al potere, e l'ex premier Alassane Ouattara, secondo la comunità internazionale il vincitore, relegato fino a qualche settimana fa nel nord del paese dall'esercito di Gbagbo. Si è passati dai 2910 dollari di novembre 2010 ai 3393 dello scorso marzo, con un aumento di oltre il 16%.
In realtà le multinazionali continuano a pagare ai contadini molto meno del prezzo commerciale. Una parte dei proventi finisce poi in tasse per il regime corrotto di Gbagbo. Un'altra, come ha testimoniato lo studio del 2007 dell'ong Global Witness intitolato Cioccolata calda finiva a finanziare l'acquisto di armi per i ribelli legati a Ouattara. E un'altra ancora se la prendeva la polizia, corrotta, che spesso istituisce dei "dazi" improvvisati lungo le strade verso i porti del commercio, San Pedro e Abidjan.
Come che sia, nell'equilibrio tra le fazioni in lotta - quella di Gbagbo e Ouattara - un peso non indifferente l'hanno avuto le multinazionali del cacao. Che con la Costa d'Avorio hanno sempre fatto affari d'oro. Le statunitensi Cargill, che compra per Unilever, Archer Daniels Midland (Adm), la svizzera Barry Callebaut, che lavora con Nestlé. Sono loro i protagonisti della sconfitta, ormai inevitabile, di Gbagbo. Le scene di resistenza estrema nel bunker di Abidjan sono solo l'epilogo di una storia già scritta dopo l'abbandono del presidente uscente da parte delle multinazionali del cacao. Il loro rispetto dell'embargo - quasi immediato per Cargill, arrivato dopo sei settimane per Adm e Barry Callebaut -, ha fatalmente bloccato l'economia del paese. Si dice che ci sia più di 1,5 miliardi di dollari di fagioli di cacao fermi nei depositi ivoriani.
Si dice, perché con il caos in aumento è in effetti difficile esser certi che l'embargo sia rispettato. Anche perché spesso le multinazionali, compresa la Ferrero, non comprano direttamente dalla Costa d'Avorio, ma dai grossisti. Per cui è difficile risalire al luogo di produzione del cacao.
La fine del conflitto - che sarà costato la vita a diverse migliaia di persone, con un milione di rifugiati - sembra comunque vicina. Ieri le forze di Ouattara, che ormai erano arrivate ad assediare la residenza di Gbagbo, nella capitale commerciale del paese, Abidjan, hanno lanciato l'attacco decisivo. La capitolazione è a un passo.
Ma la pace, quella vera, resta invece lontana. Durante la guerra e anche in passato le milizie di Ouattara si sono macchiate di violenze e soprusi (il recente massacro di Duekoue, su cui sta indagando l'Onu, non è l'unico). La fase di equilibrio che verrà stabilità dopo il conflitto, sarà fragile. E comunque sempre fondata sullo sfruttamento dei contadini, e attraversata da tensioni interetniche esacerbate dai recenti massacri. Almeno finché le regole che definiscono il commercio internazionale non cambieranno.


Liberazione 07/04/2011, pag 6

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