venerdì 10 giugno 2011

La svolta nera di Budapest. Ma l'Europa è impotente

Ungheria Proliferano le squadracce xenofobe; il governo guarda e tace

Matteo Alviti
Berlino
C'è del marcio in Ungheria. Le immagini delle recenti persecuzioni di una comunità rom a Gyongyospata si mischiano alle notizie provenienti dalla poco distante Budapest, dove il governo monocolore del partito di destra Fidesz ha votato, lo scorso 18 aprile, una nuova costituzione tinta di nero. Cosa sta succedendo nel cuore d'Europa?
Partiamo dalla cronaca più recente. Sono passati solo pochi giorni dalle ultime aggressioni dei paramilitari di Vedero - che in ungherese significa "forza di difesa" - alla comunità rom di Gyongyospata. Prima di loro, all'inizio di marzo, su Gyongyospata avevano marciato i fascisti di Szebb Jovoert - "per un futuro migliore". Decine di estremisti di destra in tenuta paramilitare a più riprese hanno terrorizzato la comunità rom locale. Che a un certo punto, visto che il governo centrale non sembrava intenzionato a intervenire debitamente, ha tentato di organizzare una sorta di autodifesa. Risultato: ripetuti episodi di violenza, risse, che la polizia prova ora a fermare con grande dispiegamento di mezzi. Troppo tardi. La paura è tanta, soprattutto per i più deboli: durante il fine settimana di Pasqua, in cui era prevista un'esercitazione armata di Vedero, donne e bambini della comunità rom, circa trecento persone, sono state portate lontano dalla Croce rossa, in collaborazione con un'associazione privata. Una «vacanza», l'aveva definita il sottosegretario Zoltan Balog.
Le intimidazioni e le angherie si ripetono ormai da anni. E non solo in quella piccola cittadina di 2.800 anime. Nel passato recente ci sono stati episodi gravissimi, con diversi omicidi. Come quello di un bambino di cinque anni e di suo padre, nel 2009, a Tatárszentgyorgy. Gli estremisti marciano con i loro gruppi paramilitari soprattutto nell'est del paese, contro la «criminalità zigana», dicono. Modello per tutte le milizie protagoniste delle recenti aggressioni è stata la Guardia Ungherese, fondata nel 2007 e disciolta d'autorità dalla corte metropolitana di Budapest nel dicembre del 2008, quando contava ormai diverse migliaia di membri. Allora al potere c'era il corrotto governo socialista di Ferenc Gyurcsány, che per le sue gravi mancanze può considerarsi in parte responsabile del successo della destra estrema nel paese.
Da quando, poco più di un anno fa, il partito di Viktor Orban, Fidesz, ha sconfitto pesantemente i socialisti nelle elezioni parlamentari, la situazione delle minoranze in Ungheria è andata decisamente peggiorando. E non solo a causa degli estremisti di Jobbik - che vuol dire "I migliori" -, a cui la disciolta Guardia Ungherese era legata a doppio filo. Ma anche per responsabilità dell'attuale governo nazionale, che su «legge e ordine» ha costruito la campagna elettorale del 2010. Dopo aver solleticato gli istinti peggiori della società, ora la politica fa fatica a controllarne gli eccessi. Quel che deve far preoccupare di più l'Europa tutta, infatti, è l'approvazione di certi comportamenti da parte della maggioranza silenziosa.
Poco meno di due settimane fa gli spiriti ungheresi più conservatori hanno potuto festeggiare l'approvazione di una nuova costituzione, che, dopo essere stata firmata dal presidente Schmitt il 25 aprile, entrerà in vigore nel 2012. La nuova carta è un tuffo nella memoria nazionalista ungherese. Quella peggiore: per i critici alcune parti del preambolo, chiamato la "Professione di fede nazionale", ricordano l'ideologia fascista degli anni '30. Si parla di re, corona, orgoglio nazionale, del salvataggio dell'Europa dai turchi. E delle radici cristiane, che pongono un problema di discriminazione all'interno della Carta di tutti i cittadini.
Preambolo a parte, a preoccupare sono i poteri che si è accaparrato Fidesz, forte della sua maggioranza parlamentare. Se, per esempio, le prossime elezioni del 2014 dovessero risultare sfavorevoli a quel partito, con le nuove regole lo stesso premier Orban potrebbe sciogliere il parlamento e indire una nuova consultazione elettorale. I poteri della Corte costituzionale e della Banca centrale verranno invece significativamente limitati. E con la nuova carta saranno molte le leggi - tra cui quelle fiscali e sul sistema pensionistico - per la cui modifica verrà richiesta una maggioranza di due terzi. Il che rende molto improbabile che un prossimo governo riesca a cambiare l'impianto stabilito da Fidesz. Nella futura costituzione c'è anche un paragrafo sulla protezione dei feti, che si teme possa aprire la strada a una seria limitazione della legislazione sull'aborto.
Forti ombre oscurano anche l'unico punto della nuova legge costituzionale che ha riscosso un consenso più ampio, cioè la limitazione del debito pubblico al 50% del pil. A dire l'ultima sui conti dello stato sarà infatti un Consiglio apposito, sempre nominato dalla maggioranza di Orban, che avrà potere di veto sul bilancio votato dal parlamento.
Con un bel rovesciamento di prospettive, la maggioranza di Fidesz, coalizzata con il piccolo partito cristianodemocratico Kdnp, ha affermato che la nuova costituzione è il completamento della transizione da uno stato totalitario, quello comunista, a un sistema democratico. Una legge «fondamentale» per l'Ungheria del ventunesimo secolo, che cancella la costituzione di impianto sovietico del 1949 - peraltro già ampiamente modificata dopo l'ottantanove.
Al momento del voto due dei tre partiti all'opposizione hanno scelto di abbandonare l'aula. Un Aventino in salsa ungherese, disertato solo dalla formazione di estrema destra Jobbik, che con il suo 17% di parlamentari ha votato contro. Secondo le opposizioni di centrosinistra, socialisti e liberali, con questa riforma costituzionale lampo - chiusa dopo appena nove giorni di dibattito - il governo di Fidesz ha imposto al paese una lacerazione profonda. Anche se in futuro un'altra maggioranza dovesse modificare la carta contro la destra, il principio delle regole condivise sarebbe comunque saltato. Fidesz ha potuto imporre questo strappo grazie a un generoso premio di maggioranza, che gli ha permesso di conquistare nelle ultime elezioni due terzi dei seggi parlamentari - 227, più i 36 dei cristianodemocratici - pur superando di poco il 50% dei voti.
L'Ungheria aveva già fatto parlare di sé all'inizio dell'anno. Allora era entrata in vigore una pessima legge sulla stampa, la cui libertà veniva fortemente limitata dal controllo di un'autorità di nomina governativa incaricata di multare salatamente i media che avessero pubblicato notizie "imparziali" o esposto il pubblico a sesso, alcol e violenza. L'Europa criticò fortemente Orban e il suo governo per quella scelta. Oggi è invece solo il Consiglio d'Europa - un'istituzione indipendente dall'Unione europea - ad aver incaricato un gruppo di giuristi esperti di valutare la nuova costituzione ungherese.
Bruxelles appare impotente. Nel parlamento europeo il partito di Viktor Orban conta su tredici seggi ed è membro del Partito popolare europeo - lo stesso del Popolo delle libertà -, il gruppo dei moderati. Che evidentemente non sono tutti moderati. Fino a giugno, inoltre, la carica di presidente di turno dell'Ue è proprio in mano all'Ungheria. Un pessimo biglietto da visita per le istituzioni comunitarie.


Liberazione 01/05/2011, pag 6

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