venerdì 10 giugno 2011

Genarali, regolamento di conti fra poteri forti

Rosario Patalano*
La ricchezza finanziaria ha la virtù di essere anonima, senza patria, senza storia, con il risultato di essere invisibile all'opinione pubblica che poco si cura e nulla comprende del sotterraneo scontro che si svolge quotidianamente sui mercati finanziari e nei consigli di amministrazione che reggono le sorti del potere economico di un paese. Solo quando questo scontro coinvolge l'assetto dei poteri, il velo dell'anonimato viene squarciato e all'opinione pubblica vengono rivelati nomi e circostanze che ai più erano assolutamente ignoti.
La "rivolta di palazzo" che ha portato alle dimissioni di Cesare Geronzi dalla presidenza delle Assicurazioni Generali è l'ennesimo terremoto che muta gli equilibri di potere della finanza italiana e che viene portato improvvisamente all'attenzione di un pubblico inconsapevole e distratto da altri problemi.
La vicenda, per il fatto che apre uno squarcio nel sotterraneo scontro dei poteri forti nel nostro paese, deve essere valutata con la dovuta attenzione.
Cominciamo dal campo di battaglia, le Assicurazioni Generali, che costituiscono lo spazio conteso dalle parti in lotta.
Il Gruppo Assicurazioni Generali s.p.a., fondato a Trieste nel 1831, è oggi la più grande compagnia italiana di assicurazioni, con un ruolo di tutto rispetto anche sul mercato internazionale (è presente in 65 Paesi e si colloca al primo posto in Italia, Austria ed Israele e fra i primi in Germania, Francia, Spagna e Cina) ed è tra le prime per fatturato in Italia. Dopo la crisi del 2008 il gruppo è considerato uno dei più saldi ed efficienti del mondo, con un fatturato di 120,06 miliardi euro nel 2010 e 85.000 dipendenti. La su attività spazia dal ramo assicurativo (vita, sanitarie, danni) alla gestione degli investimenti e della attività bancarie.
Al vertice di questo colosso, poco più di un anno fa, era stato designato Cesare Geronzi, esponente dell'alta finanza nazionale, uomo passato all'inizio degli anni Ottanta dalla responsabilità del settore cambi della Banca d'Italia alla gestione della finanza privata. Negli anni Novanta Geronzi è protagonista di varie operazioni di fusione che portano alla costituzione della Banca di Roma e poi, nel 2002, alla fondazione di Capitalia. Passando indenne attraverso i più gravi scandali finanziari di questo ultimo decennio (dal crack Parmalat a quello della Cirio), nel 2007 Geronzi porta a termine un'altra importante operazione: l'incorporazione di Capitalia nel gruppo Unicredit.
L'anno dopo Geronzi viene nominato presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca.
Mediobanca, gestita da Enrico Cuccia per oltre mezzo secolo, era specializzata nel credito a medio e lungo termine, mentre le banche ordinarie erano abilitate alle sole operazioni creditizie a breve. In seguito alla riforma, la specializzazione del credito è stata abolita e le banche ordinarie hanno potuto accedere al controllo del credito a medio e lungo termine. Questo ha generato un conflitto di interessi tra le banche commerciali azioniste di Mediobanca e il management legato alla visione autonomistica di Cuccia. Lo scontro, nel 2003, ha portato all'estromissione del successore di Cuccia, Vincenzo Martango, per effetto di una cordata tra Unicredit, Capitalia di Geronzi e la finanza francese rappresentata da Vincent Bolloré, un accordo benedetto dalla Banca d'Italia del governatore Antonio Fazio.
Il cambio della guardia nella governance ha segnato la fine della neutralità di Mediobanca con la sua riduzione a terreno di scontro dei gruppi finanziari per il suo controllo diretto. Geronzi è stato uno dei protagonisti più attivi di questa battaglia.
Nel marzo del 2010 Geronzi viene designato alla presidenza delle Generali proprio da Mediobanca e il mese successivo al vertice dell'istituto di Cuccia viene nominato Renato Pagliaro, più vicino al management di tradizione cucciana. A facilitare l'ascesa di Geronzi è proprio la cordata con i francesi di Vincent Bolloré.
In questo anno di presidenza delle Generali Geronzi ha gestito un difficile equilibrio tra Mediobanca, i vari potentati finanziari nazionali, e l'alleato francese che premeva per un progetto di fusione tra Generali e Mediobanca, su cui avrebbe esercitato un controllo rilevante.
Che fosse difficile mantenere questo equilibrio lo aveva già rivelato la grave crisi di management verificatasi un mese fa, quando il vicepresidente Bolloré non votò contro il bilancio del gruppo esprimendo perplessità sull'accordo tra le Generali e la compagnia ceca Ppr voluto dagli amministratori delegati, accordo che indirizza strategicamente il gruppo verso il cuore della Mitteleuropa, suo tradizionale centro d'affari.
La rivolta di palazzo per destituire Geronzi è stata costruita sull'alleanza tra la dirigenza di Mediobanca (con l'amministratore delegato Alberto Nagel), pezzi dell'imprenditoria italiana, come Della Valle, i partner mitteleuropei (tra cui proprio il ceco Petr Kellner), i rappresentati dei fondi e del gruppo editoriale De Agostini. Lo scontro finale con i francesi si riproporrà nell'assetto dei poteri di Mediobanca tra poco.
La vicenda delle dimissioni è destinata ad essere l'avvio di un regolamento di conti più generale. Al centro della contesa vi è innanzitutto il ruolo di Mediobanca che vuole riaffermare la sua centralità nella finanza italiana. Poi c'è la rivolta del capitalismo manifatturiero italiano contro il potere del capitale finanziario, che ha trovato nello scontro Della Valle-Geronzi la sua più emblematica rappresentazione. Infine, c'è l'opposizione alla volontà colonizzatrice dei francesi, che stanno puntando ai nostri asset strategici, suscitando una forte reazione nazionalistica che trova nel ministro Tremonti il suo punto di riferimento.
L'esito di questa battaglia cambierà l'assetto dei poteri finanziari in Italia non senza ripercussioni sul potere politico. L'opinione pubblica si prepari a guardare stupefatta nuovi straordinari eventi.

Università Federico II, Napoli


Liberazione 08/04/2011, pag 1 e 5

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