lunedì 13 giugno 2011

«In Siria c'è una rivoluzione, indietro non si torna»

Khaled Khalifa Scrittore e sceneggiatore siriano, ha presentato
al Salone di Torino il romanzo "Elogio dell'odio"

Guido Caldiron
«All'inizio il regime ha cercato di dividere la popolazione. Hanno cominciato a sparare con i cecchini sulle manifestazioni e hanno messo in giro la voce che ci fossero delle "bande" non meglio identificate che uccidevano i manifestanti. Questo ha creato sconcerto e anche dubbi tra coloro che non potevano ottenere informazioni di prima mano dalle città in rivolta. Poi la gente ha capito, le divisioni tra i diversi settori, religiosi e economici, della società hanno lasciato spazio all'idea che quelle manifestazioni rigaurdassero tutti, che la violenza che subivano toccasse tutti i siriani. Credo che sia stato allora che il regime ha cominciato davvero ad avere paura e a capire che tutto questo non rientrerà più».
Khaled Khalifa è nato nel 1964 in un villaggio vicino ad Aleppo, quinto di tredici figli. Dopo gli studi in Legge, ha fondato la rivista di letteratura Aleph, proibita dopo pochi mesi dalla censura siriana. Autore di tre romanzi e di diversi racconti, alcuni dei quali sono stati oggetto della censura, oggi vive a Damasco dove scrive per il cinema e la televisione. In questi giorni è in Italia, su invito del Salone del Libro di Torino dove ha presentato ieri il suo romanzo Elogio dell'odio, appena pubblicato da Bompiani (pp. 532, euro 21,90).
Nel libro è descritta la sanguinosa repressione attuata nel 1980 dal regime di Hafez Al Assad, il padre dell'attuale presidente siriano e "fondatore" del clan di potere che ha dominato Damasco nell'ultimo mezzo secolo, contro un tentativo di rivolta guidato dai Fratelli Musulmani. Di fronte a quella vicenda, racconta Khalifa attraverso le voci e le storie dei personaggi del suo romanzo, le famiglie siriane, famiglie normali, con i loro amori, speranze e tradimenti, si ritrovarono strette tra il fondamentalismo e un regime poliziesco e corrotto. Sullo sfondo la distruzione morale e materiale di un intero paese. «La città (di Aleppo), un tempo orgogliosa di essere definita la Vienna dewl Levante, era diventata una rocca in rovina, abitata da spettri che facevano paura».

"Elogio dell'odio", Il romanzo che lei ha presentato in questi giorni al Salone di Torino descrive la sanguinosa repressione della rivolta guidata nel 1980 dai Fratelli Musulmani. All'epoca molti siriani si sentirono stretti tra il potere incarnato da Hafez Al Assad e l'insurrezione degli integralisti. La situazione odierna è paragonabile a quella di allora?
Assolutamente no. Si tratta di vicende completamente diverse. Nel 1980 la maggioranza dei siriani fu scossa dalla repressione, che fece moltissime vittime specie nelle città di Aleppo e di Hama, ma non condivideva né le idee né i progetti dei fondamentalisti islamici. Oggi, invece, ci troviamo di fronte a una vera rivoluzione, a un movimento popolare e di massa che raccoglie ampie fasce della società. Il punto di contatto tra queste due fasi della recente storia siriana è rappresentato dal fatto che è a partire dagli anni Ottanta che il paese si è progressivamente trasformato in uno Stato di polizia dove la libertà di parola e ogni espressione di dissenso verso il potere, sono state soffocate con la violenza. E' a questa situazione che i siriani hanno deciso di ribellarsi ed è questo il senso delle manifestazioni che stanno avendo luogo in tutto il paese da oltre due mesi. Inoltre, per quanto riguarda la mia esperienza personale, durante i primi giorni della protesta ho scritto sulla mia pagina di Facebook, il solo media che sfuggiva alla censura, che mi auguravo che nessun altro scrittore avrebbe sentito in futuro l'esigenza di scrivere un romanzo come Elogio dell'odio su quello che sta succedendo oggi: poi con il crescere della repressione e dell'uso delle armi da parte del regime ho dovuto ammettere a me stesso che invece molto probabilmente dovremo scrivere altri libri come quello che raccontano massacri e divisioni terribili.

Quale ruolo possono giocare gli scrittori, gli intellettuali e gli artisti nella rivoluzione democratica che scuote oggi la Siria?
Diciamo che già da tempo chi ha la possibilità, attraverso il suo lavoro, di far conoscere le proprie opinioni o una visione dalle cose diversa da quella imposta dal regime, contribuisce a smontare quel linguaggio totalitario che fa da sfondo all'autoritarismo politico. Pur soffrendo spesso di forti limitazioni a causa della censura o delle restrizioni che sono imposte dagli apparati sella sicurezza interna, scrittori e autori cinematografici hanno cercato di raccontare in un altro modo la Siria di oggi. In molti hanno pagato questo sforzo con la prigione, l'esilio o anche con il sangue, ma credo che proprio in queste giornate di protesta stia emergendo qualcosa che già scorreva sotto traccia all'interno della società siriana. Così, anche la letteratura, per la mia generazione, ha rappresentato la possibilità di misurarsi fino in fondo con le contraddizioni di questo paese, senza cercare rifugio in un immaginario lontano, ma affrontando invece direttamente la sofferenza e il bisogno di democrazia che crescevano nel nostro popolo.

Si moltiplicano le violenze compiute dai militari e dagli uomini dei servizi contro la popolazione che manifesta per la libertà, anche se cominciano ad arrivare anche notizie che parlano di soldati che si rifiutano di sparare sulla folla. Fino a quando potrà reggere, in questa situazione, il regime di Bashar al Assad?
Non so dire quanto potrà durare ancora, ma di una cosa sono già certo, vale a dire che le cose non potranno più tornare ad essere come erano prima. Dopo la caduta di Mubarak avevo immaginato che anche in Siria sarebbe accaduto qualcosa ma sinceramente non avevo previsto che le cose si sarebbero spinte fino a questo punto. La società siriana ha cominciato a buttare giù il muro della paura che lo aveva reso immobile fino ad oggi. E' come se i siriani, forse per la prima volta nella loro storia, si fossero guardati in faccia fino in fondo: così hanno visto i loro timori e le loro paure ma anche il loro bisogno di un futuro diverso, libero e democratico. Ed è bastato che emergesse questa semplice consapevolezza perché in tantissimi, e sono ogni giorno di più malgrado la repressione, si mettessero in marcia. E' così che, giorno dopo giorno, le strade e le piazze si sono riempite e che quella che era partita come una rivolta si è trasformata in una rivoluzione.


Liberazione 15/05/2011, pag 9

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