lunedì 13 giugno 2011

Lo stato d’eccezione d’Europa. Si discute di Schengen tra populismo e allarme immigrati

Bruxelles Consiglio straordinario dei ministri dell’Interno

Matteo Alviti
Berlino
Meno di trentamila migranti in fuga dalla guerra e dalla fame sarebbero anche un problema di facile gestione per l'Italia e gli oltre 400 milioni di cittadini che vivono nell'area di Schengen. Ma a giudicare dal fatto che i ministri dei 27 paesi dell'Ue si siano dovuti riunire ieri in un consiglio straordinario, a Bruxelles, per discutere un'eventuale revisione - in senso restrittivo - dei criteri per la libera circolazione, la dice lunga sulla fragilità di quella che chiamiamo "Unione".
Le regole devono essere chiarite, hanno convenuto quasi tutti i protagonisti del vertice. Solo così si potrà evitare la reintroduzione unilaterale dei controlli alle frontiere. «Non dobbiamo indebolire in alcun modo Schengen», ha chiarito dopo il vertice la commissaria Ue agli affari interni Cecilia Malmstrom. «Ma è necessario emendarne alcune lacune per migliorare la governance». E proprio sul ruolo della Commissione nell'eventuale riconoscimento di uno "stato d'eccezione" si è aperto il primo conflitto. Il «meccanismo comunitario» di cui ha parlato Malmstrom non è piaciuto a tutti - tra questi Francia, Repubblica Ceca, Austria e Germania.
«Assolutamente a sostegno della comunicazione della presidenza della Commissione» il ministro degli interni Roberto Maroni. L'Italia - che anche ieri, insieme a Malta, ha chiesto più collaborazione ai partner europei sul fronte immigrazione - è contraria alle chiusure parziali dello spazio Schengen. Nel suo intervento Maroni ha detto di aver persino citato «l'intervento del presidente Barroso al parlamento europeo del 10 maggio scorso» a difesa della libera circolazione nei paesi Ue. Per il leghista Maroni - che oggi si scopre senza confini - «l'acquis di Schengen va rafforzato, e non indebolito».
Dal consiglio dei ministri di ieri è però emerso chiaramente un punto. Tra i ventisette c'è una larghissima maggioranza di paesi favorevoli a rivedere le regole approvate a Schengen - originariamente, nel 1985, da cinque degli allora dieci membri della Comunità economica europea. Quel che nei giorni scorsi hanno lamentato "big" del calibro di Francia, Italia e Germania, è la mancanza di «chiari criteri» per motivare un'eventuale reintroduzione dei controlli. Attualmente, secondo quanto previsto dal "Codice delle frontiere", ogni stato membro può reinstaurarli unilateralmente, limitandosi a darne semplice comunicazione alla Commissione europea. Sono previste sospensioni per periodi limitati, e solo in caso di grave minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza interna.
Dopo Parigi, tre giorni fa era stato proprio il ministro degli interni tedesco Hans-Peter Friedrich a palesare, in un'intervista al quotidiano Le Figaro, l'appoggio del suo paese all'iniziativa francese, che puntava a reintrodurre i controlli nel caso in cui un paese membro non fosse in grado di proteggere i confini esterni dell'Unione. E a proposito di protezione dei confini, ieri il ministro danese delle finanze Claus Hjort Frederiksen - del cui governo fa parte il partito anti-immigrazione dei Popolari danesi - ha tentato di chiarire l'annuncio di mercoledì, secondo cui Copenhagen avrebbe a breve reintrodotto i controlli alle frontiere con la Svezia e la Germania. Si tratterebbe di verifiche a campione di «sospetti», per tentare di arginare il fenomeno del contrabbando e dell'immigrazione clandestina. Tutto secondo le regole? La Commissione europea non ne è proprio convinta, e ha annunciato di voler esaminare la situazione. In passato, comunque, è accaduto più volte che uno dei paesi membri sospendesse unilateralmente la validità degli accordi che permettono la libera circolazione dei 400 milioni di cittadini dei venticinque stati europei che hanno sottoscritto Schengen. Per esempio in occasione dei G8 che si sono tenuti in Italia e, prima di allora, in Germania. In quelle occasioni Roma e Berlino avevano giustificato i controlli alle frontiere con la necessità di garantire la sicurezza dei vertici. Lo stesso accadrà, c'è da scommetterci, alla fine di questo mese, in occasione del trentasettesimo summit dei G8 che si terrà il 26 e 27 maggio a Deauville, in Francia.
Le eventuali, probabili, modifiche e integrazioni al trattato di Schengen continueranno a essere discusse durante le prossime settimane, per venire poi verosimilmente approvate nel summit europeo del prossimo mese.


Liberazione 13/05/2011, pag 2

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