lunedì 13 giugno 2011

Yemen, lo stato canaglia alleato di ferro di Washington e Riyadh

Mondo arabo alta tensione per un altro venerdì di protesta

Simonetta Cossu
Resta alta la tensione nello Yemen, dove lo stallo nella mediazione tra regime e forze d'opposizione si traduce in una crescente instabilità.
L'ambasciatore italiano a Sana'a, Alessandro Fallavollita parlando all'agenzia Reuters, non nasconde la sua "apprensione" per quello che potrebbe succedere oggi, quando, al termine della preghiera del venerdì, i manifestanti torneranno a chiedere le dimissioni del presidente Ali Abdullah Saleh, al potere da 33 anni.
Tenere il conto delle vittime è complicato. Nella notte di mercoledì, proprio a Sana'a, dieci manifestanti antigovernativi sono rimasti uccisi nel corso di scontri con le forze di sicurezza. Altre vittime si sono registrate a Taez, Hodeida e Dhamar. Il timore è che il protrarsi dello stallo nella mediazione condotta dal Consiglio di cooperazione del Golfo possa precipitare il Paese nella guerra civile. La road map messa a punto dai Paesi del Golfo prevede, o si può dire prevedeva, il passaggio di poteri dal presidente Saleh al suo vice entro 30 giorni, la formazione di un governo ad interim e la convocazione di nuove elezioni. L'uscita di scena di Saleh in cambio della sua immunità resta però uno dei punti più controversi del piano di transizione.
Il regime libico che ha portato l'Italia e i suoi alleati in guerra messo a confronto con quello di Saleh impallidisce. Lo Yemen è considerato dal punto di vista architettonico, uno dei paesi più belli del mondo, ma per quanto riguarda l'economia rappresenta il più povero dei paesi arabi.Su 23 milioni di abitanti il 40% vive con meno di due dollari al giorno, in un paese dove la disoccupazione è a livelli drammatici che supera il 40%. Meraviglia anzi che solo sotto la spinta del vento che arriva dal Magreb solo oggi decine di migliaia di yemeniti siano scesi in strada a protestare. Quello che distingue questo piccolo paese e che lo rende impermeabile alle condanne e alle sanzioni internazionali è la sua posizione strategica nello scacchiere mondiale degli ultimi decenni. Da Bush padre a Bush figlio il presidente Ali Abdullah Saleh è stato uno dei pupilli dell'amministrazione americana. E' nello Yemen che si sono testati i primi droni per dare alla caccia ai terroristi di Al Qaeda, ed è da qui che i prinicipali servizi segreti operano verso paesi limitrofi.
Anche l'attuale presidente americano Obama non ha fatto di meno. Proprio mentre declamava i diritti dei popoli a poter esprimere il loro diritto di parola e di espressione, firmava in contemporanea un nuovo contratto per il valore di 27 milioni di dollari tra il Pentagono e la Bell Helicopter per acquistare elicotteri che erano destinati al regime yemenita. Sono gli stessi elicotteri che in questi giorni sparano sui manifestanti nelle città dello Yemen. L'ordine di elicotteri è solo l'ultimo esempio in ordine di tempo di come il Pentagono ha sostenuto e sostiene le forze militari yemenite e questo grazie al "1206 program", un accordo approvato dal Congresso Usa che "permette al ramo esecutivo di rapidamente rifornire i partners stranieri con eqiupaggiamento militare e l'addestramento" per aumentare le capacità militari stranieri a combattere il terrorismo. In base a questo accordo dal 2006 ad oggi equipaggiamento per un valore di 1,3 miliardi dollari sono stati stanziati, e lo Yemen risulta essere il più grande dei destinatari.
La minaccia di al Qaeda naturalmente è la ragione di questo impegno. Peccato però che la durezza del regime di Saleh non è riuscito a convincere la popolazione di questa minaccia. Secondo una ricerca il 96% degli yemeniti crede che l'occidente sia in guerra con l'Islam e che la maggioranza considera che i rappresentanti di al Qaeda in Yemen, al-Qaeda in the Arabic Peninsula (AQAP), agiscono per autodifesa. Insomma il nemico non sono loro, ma gli alleati del re.
E così mentre i media occidentali danno ampio risalto all'ultimo messaggio del gruppo terroristico, nessuno sembra registrare il fatto che in un paese dove sono presenti quasi 60 milioni di armi, la rivolta dei giovani yemeniti sono un modello di pacifismo. Saleh, applicando il copione standard del dittatore arabo, li ha defini "spacciatori", riciclatori di denaro e di una "piccola minoranza".
L'attuale paese è nato dall'unione tra Yemen del Nord e del Sud Yemen nel 1994, dopo anni di guerra civile. Sulla carta è una una Repubblica presidenziale, ma esiste un solo partito e i delegati di Saleh hanno il controllo su gran parte dello Yemen. Oltre agli Usa l'altro gran burattinaio del paese è l'Arabia Saudita attanagliata da due timori, che negli ultimi mesi hanno assunto la forma di vere e proprie ossessioni: l'Iran e e le manifestazioni di piazza. L'idea di fondo è che l'Arabia Saudita sia spaventata dal processo di democratizzazione in sé. C'è dunque uno sforzo da parte dei sauditi per annullare l'insorgere di governi rappresentativi nella regione, indipendentemente dall'identità confessionale. La Casa di Saud palesa un sostegno alle autocrazie arabe paragonabile a quello dei Romanov alle monarchie assolute durante i moti del 1848.


Liberazione 13/05/2011, pag 6

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