venerdì 10 giugno 2011

A loro mega-profitti. A noi mega-debiti

Banchieri d'oro Paghe stratosferiche, ma è con soldi pubblici che si ripianano i giganteschi fallimenti

Maria R. Calderoni
«Il nuovo amministratore delegato di Lloyds Banking Group percepisce 4.000 sterline all'ora. Io solo 7. Questa è giustizia». Le ultime parole famose. Le ha dette - via Facebook - una signora di nome Stephanie Bon, trentasettenne, inglese, già dipendente come assistente alle risorse umane (!!) per Lloyds TSB, quinto gruppo bancario del Regno Unito. "Già" dipendente, appunto, dato che, dopo quella frase mandata in rete, Stephanie è stata licenziata in tronco, alla faccia delle risorse umane. Il Group infatti si è offeso. Che c'è da menare scandalo se il nuovo ceo - si chiamano così, i gran capi - tale Antonio Horta Osòrio, un portoghese dotato di baffi e pizzetto da poco assunto dal grande gruppo britannico, riceve il modico stipendio annuale di 13,5 milioni di sterline (oltre 15 milioni di euro), più 900 mila sterline di contributi pensionistici; più altri succosi bonus di vario genere?
L'homo bancario dal braccio d'oro, tuttavia, non ha scandalizzato la sola Stephanie, ma anche, e parecchio, il common people, i comuni contribuenti inglesi. I quali, con grande incazzatura, ben ricordano come proprio il grande Group TSB - una banca semipubblica - nel 2008 sia stata praticamente salvato dalla bancarotta con un intervento massiccio del governo che ne ha acquistato ben il 40% delle azioni.
Uno dei tanti salvataggi bancari operati con soldi pubblici negli ultimi anni, non solo nel Regno Unito. La Grande Crisi, che morde tuttora così pesantemente, ha trascinato il mondo sull'orlo dell'abisso, dentro una voragine finanziaria di proporzioni inimmaginabili. I tipi alla Lloyds TSB, Lehman Brothers, Merril Lynch, Bear Stearns, Madoff, ecc. li conosciamo bene. Fallimenti giganteschi ed emolumenti altrettanto giganteschi ai cosidetti manager al vertice del sistema bancario-finanziario rappresentano uno degli scandali più colossali e immorali della nostra epoca. Vero terrorismo. Eversione pura.
Un libro appena uscito - Marco Panara, La malattia dell'Occidente, Laterza - ne dà un quadro che mette qualche brivido. «I dati del primo trimestre del 2008 sono una pioggia torrenziale di perdite». Credit Suisse ne annuncia 3 miliardi (di dollari), Societé Genéral scopre un buco di 5 e a ruota denunciano voragini Ubs, Citigroup, Morgan Stanley; la Aig (la più grande compagnia di assicurazione del pianeta) si presenta con 30 miliardi di perdite; Freddie e Freddie (i due "gemelli" della finanza immobiliare usi a gestire affari per 5.300 miliardi di dollari, un quinto dell'intero Pil Usa) può esibire solo debiti. «Alle casse di Washington la crisi è costata già svariate centinaia di miliardi di dollari, ma l'emorragia ancora non si arresta».
In Europa le cose non vanno meglio. «Con denari pubblici vengono evitati il fallimento della belga Fortis, della olandese Ing, della britannica Royal Bank of Scotland; ricapitalizzazioni miliardarie salvano banche francesi e tedesche; trema la Svizzera, sotto il peso delle perdite di Ubs». La quale, si noti bene, «ha un attivo ben più grande dell'economia del paese». Tanto per dare un'idea. «Le macerie della crisi finanziaria sono alte come montagne. Si calcola che nella fase più acuta siano stati bruciati oltre 25.000 miliardi di dollari di ricchezza finanziaria, una cifra pari alla metà del prodotto lordo che il mondo intero riesce a mettere insieme in un anno».
Tanto per dare l'idea. Va giù tutto, ma non le loro paghe, di banchieri e simili. Lo abbiamo visto con l'ineffabile portoghese della TSB, ma non occorre varcare i confini. I banchieri sono veramente global, il loro portafoglio è senza patria né bandiera.
Prendiamo Geronzi, l'uomo del giorno, il gran manager di cui si parla. Rimarchevole per gli otto anni di carcere che i giudici gli vogliono appioppare per i crac di Cirio e Parmalat; e magari anche per le 74-foto-74 con le quali illustra se stesso e la sua carriera su Facebook. Ma soprattutto per quanto percepisce, il Geronzi. Per qualche mesuccio di lavoro - di alto livello di alto livello! - alle Generali, gli danno 16,6 milioni di euro sotto la voce buonuscita (mai parola fu più azzeccata…); ma è solo un piccolo acconto, nel suo particolare portafoglio. Al 30 settembre 2007, da Capitalia percepisce 23. 648.266, di cui 20 milioni come "premio alla carriera"; da Mediobanca, per l'esercizio chiuso al 30 giugno sempre 2007, 375 mila euro; fanno 24.023.266 in un anno. Coi quasi 17 delle Generali, si arriva a oltre 40 milioni. Mica male.
Mica solo lui. Li potete trovare anche in rete gli stipendi (si fa per dire) dei padroni, banchieri, manager, imprenditori; cioè «i protagonisti del capitalismo all'italiana», come scrivono Gianni Dragoni e Giorgio Meletti nel libro intitolato appunto Le paghe dei padroni (Chiarelettere), dotato di interessante appendice sulla "classifica dei manager più pagati". Dall'a alla zeta. Anno 2007, si apre ad esempio con un Arpe Matteo (ad di Capitaia) con 37 milioni 406 mila euro. Anno 2010, sempre per esempio, Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, si becca 40,6 milioni (di cui 38 come liquidazione). Tra i 25 superpagati, sempre nel 2010, i soliti noti Luca Cordero di Montezemolo (8,7 milioni); Marco Tronchetti Provera, Pirelli (6 milioni); Paolo Scaroni, Eni, con un "cedolino" di 4,4 milioni; e via a seguire, ci sono tutti proprio tutti: Bazoli, Buora, Galateri, Marchionne, Caltagirone, Ligresti, Passera, Gabetti, Colaninno, Romiti, Pesenti... I 100 manager in elenco nel libro citato si portano a casa da soli, nel solo 2007, intorno ai 500 milioni di euro. E dategliele queste brioches, al popolo!


Liberazione 09/04/2011, pag 4

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