mercoledì 15 giugno 2011

Cosa ne faremo dei nostri scarti nucleari?

Del loro smaltimento doveva occuparsi la Sogin spa. Un fallimento

Pietro Raitano
Il gigantesco bidone (quattro metri di altezza, cinque di diametro) che gli attivisti di Greenpeace hanno piazzato sulla terrazza del Pincio, a Roma, vale più di mille parole. Il nucleare è un bidone, una truffa molto cara e pericolosa che ricadrà sulle spalle dei cittadini. È accaduto mentre alla Camera si votava la fiducia al decreto cosiddetto omnibus, all'interno del quale ci sono le norme che dovrebbero - ma non è per nulla detto - rendere inutile il quesito referendario sul ritorno all'atomo. Tralasciamo la questione - per quanto centrale - dell'ignobile tentativo di annientare la volontà popolare, ci concentriamo anche su un altro aspetto.
Già oggi l'esperienza nucleare italiana pesa sulle nostre tasche. E non certo perché senza di essa l'energia da noi costa di più. Anche i bambini ormai sanno che da noi l'elettricità è più cara che nel resto d'Europa perché il mercato è ancora in mano a un solido oligopolio. Anche i bambini sanno che se importiamo elettricità non è perché non abbiamo centrali elettriche a sufficienza, ma perché importare di notte costa meno agli oligopolisti di cui sopra, che poi però ci fanno pagare a costo pieno. Infine, noi paghiamo di più l'elettricità perchè le nostre bollette sono infarcite di oneri di sistema che danno soldi alle ferrovie, ai grandi gruppi industriali, ai petrolieri, al governo con tasse gravose. E che ancora ci fanno pagare il nucleare.
Prendete una bolletta e cercate le componenti A2 e MCT. Si tratta dei soldi che ancora oggi, dopo oltre 20 anni dal referendum, paghiamo per lo smantellamento delle centrali nucleari e le "misure di compensazione territoriale". Ecco una cosa che non si dice mai: le centrali nucleari costano soprattutto quando a un certo punto vanno spente. E costano quando - da accese - se ne devono smaltire le scorie. La propaganda nuclearista sostiene che oggi le scorie non siano un problema. È un falso, e le esperienze in giro per il mondo lo dimostrano.
Come spiegano gli esponenti del comitato "Fermiamo il nucleare", negli Stati Uniti «è dagli anni '70 che si sta studiando un deposito definitivo per le scorie radioattive a più alta intensità. Nel 1978 furono avviati gli studi nel sito di Yucca Mountain, nel deserto del Nevada. I costi di costruzione di questo sito supereranno i 54 miliardi di dollari (che dovranno essere pagati con le tasse dei contribuenti), ma non è affatto certo che questo entrerà mai in funzione. La data d'inizio dello stoccaggio, infatti, è stata più volte fatta slittare (oggi si parla forse del 2017), questo a causa di numerosi problemi, non ultimo il fatto che il Doe statunitense ha denunziato omissioni e irregolarità negli studi geologici che minano la sicurezza stessa del sito. Peraltro proprio a marzo 2010 l'amministrazione Obama ha tagliato ingenti fondi a questo progetto, dando un forte segnale di non ritenerlo idoneo come deposito geologico per le scorie. Ma anche se il deposito di Yucca Mountain dovesse, un giorno, entrare in servizio, potrà contenere circa 70.000 tonnellate di rifiuti radioattivi, peccato che nel 2017 gli Stati Uniti avranno accumulato 85.000 tonnellate di combustibile esausto dalle loro centrali nucleari».
Agli attuali ritmi di produzione mondiale di elettricità nucleare e armamenti nucleari, il mondo avrebbe bisogno di un deposito con capacità di Yucca Mountain ogni due anni.
Oltre alle scorie che si producono a valle del reattore nucleare ci sono quelle che vengono generate dalla produzione del combustibile. Per produrre le 160 tonnellate di uranio necessarie a un reattore standard per un anno, se si parte da rocce di granito ricche di uranio (1000 parti per milione) è necessario lavorare 160 mila tonnellate di roccia che finisce come rifiuto essendo, oltre che radioattivo, fortemente contaminato dalle sostanze chimiche impiegate. Si tratta quindi di materiali inquinati e inquinanti che spesso vengono abbandonati sul posto con gravissimi danni per l'ambiente e la salute delle persone stesse. Un caso recente è stato denunciato in Niger, dove gli scarti dell'estrazione di Uranio contaminavano i villaggi esponendo le popolazioni a dosi di radiazione. «I pur modesti programmi nucleari che l'Italia aveva sviluppato nel passato e che furono chiusi con il referendum del 1987 - proseguono quelli di "Fermiamo il nucleare" - ci hanno lasciato la pesante eredità dello smantellamento delle centrali e della gestione delle scorie. Aspetti che sono assai lontani da qualsiasi vera soluzione malgrado l'elevato costo che i cittadini italiani hanno già dovuto sostenere con le proprie bollette elettriche». Gli oneri complessivi del programma di smantellamento, dalla gestione delle scorie nucleari passando per il previsto conferimento di tutti i rifiuti al deposito nazionale - la cui ubicazione non è stata ancora definita -, dal 2001 al 2008 sono ammontati a 5,2 miliardi di euro. Tutti pagati di tasca nostra.
Dello smaltimento delle scorie italiane si occupa la Sogin, costituita il 1º novembre 1999 con il compito di «controllare, smantellare, decontaminare e gestire i rifiuti radioattivi degli impianti nucleari italiani spenti dopo i referendum abrogativi del 1987». Nel 2009 il Sogin ha ottenuto ricavi per 229 milioni di euro, e ha debiti per 244.02 milioni. Oggi le vecchie scorie nucleari italiane vanno in giro per l'Europa. Dovranno essere trattate, per poi probabilmente ritornare in Italia, tra il 2020 e il 2025. Nessuno saprà che farne e soprattutto dove metterle.

direttore di "Altreconomia"


Liberazione 29/05/2011, pag 22

Nessun commento: