venerdì 10 giugno 2011

Le relazioni pericolose tra Washington e Pechino

Usa-Cina vertice sui diritti umani. Ma forse si parlerà d'altro

Boris Sollazzo
Usa e Cina discutono di diritti umani. Detta così sembra una battuta, essendo le due superpotenze esperte nel non rispettarli, la prima soprattutto violando la sovranità di altri paesi - ma non scherza neanche in casa - la seconda soprattutto nei suoi ampi confini, reprimendo quasi tutte le libertà possibili, a partire dai territori che hanno spinte autonomiste per arrivare ai singoli cittadini.
La spinta all'incontro sarebbe venuta dagli Stati Uniti, soprattutto in seguito alla forte presa di posizione dell'ambasciatore a stelle e strisce a Pechino, Jon Huntsman che, su Time, ha espresso un'esplicita condanna all'arresto dell'artista Ali Weiwei (seguita a quella di Mr Ai). E in un comunicato in cui si annunciavano gli incontri di oggi e domani, ribadiva che «i colloqui verteranno sulla situazione dei diritti dell'uomo, compresa la recente tendenza negativa che vede un aumento delle persone scomparse, dei fermi extragiudiziari, degli arresti e delle condanne». Sarà Michael Posner, vicesegretario per la Democrazia, i diritti umani e il Lavoro - va detto, un trittico che ispira, almeno nella dicitura - a capitanare la delegazione statunitense a Pechino per una due giorni che si annuncia di difficile interpretazione. Se, infatti, il confronto dovesse essere serio e approfondito, inevitabilmente il clima sarà teso come lascia presagire la risposta cinese all'annuncio americano. Una fredda dichiarazione di voler discutere con «reciproco rispetto» delle «differenze» in materia di diritti umani, che fa seguito a una brusca reazione nel respingere un rapporto di una settimana fa di Washington sull'argomento, bollandolo come «interferenza».
Nessuna volontà di sottovalutare la portata storica di un incontro che comunque chiaramente rappresenta un passo importante nella controversa strategia di avvicinamento tra due realtà legate tra loro, sotto il profilo economico, molto più di quanto vorrebbero, soprattutto da parte nordamericana. A unirli, ormai, non è solo l'Oceano, ma legami forti sul piano economico che non trovano uguale riscontro su quello politico e, appunto, dei diritti umani. Lo sbilanciamento del rapporto Cina-Usa a favore della prima si scontra con la necessità di Pechino di non rischiare l'isolamento democratico, essendo ormai un paese industrializzato che non può giocare totalmente fuori dalle regole del mercato internazionale. E non solo da quelle del mercato.
Ecco, è anche questa la partita che si giocherà oggi e domani. Un match in cui, francamente, i diritti umani sembrano pedine o, peggio, merce di scambio. D'altra parte, però, le questioni delle spinte autonomiste in Tibet e nello Xinjiang, così come le libertà individuali - d'espressione e di religione, in particolare - dei cittadini cinesi non potranno essere del tutto ignorati. Potranno però essere trascurati, come già successo all'inizio dell'anno nell'incontro su suolo americano tra Barack Obama e Hu Jintao. Proficuo - ma neanche troppo - per quanto riguarda l'aspetto economico (45 miliardi di dollari di contratti), scarso sui diritti umani, appunto. Lì si esplicitò la politica della «cooperazione nel rispetto reciproco», ammirevole a parole, visto la profondità delle differenze delle due culture, ma pachidermica nei fatti.
Così dal cambio dollaro-yuan, che non fa dormire in parecchi, alle libertà negate - in entrambi i paesi, va detto, ma in Cina la violazione dei diritti dei cittadini è motore all'economia oltre che strumento di controllo - si è instaurata una politica dei piccoli passi che spesso appaiono impercettibili e che alcuni, più malignamente, inquadrano più in una "strategia del gambero". Di sicuro l'incontro, che avviene a pochi mesi dall'ultimo confronto tra i vertici, segna comunque la volontà di ricerca di un rapporto e di un equilibrio. Molti scommettono su risultati ancora interlocutori, nonostante gli argomenti non lo siano affatto. L'unica indiscrezione che trapela, anche analizzando i pochi comunicati ufficiali, è un atteggiamento più "grintoso" della amministrazione Obama e una timida apertura, forse, sul fronte cinese. In contrasto, però, con la repressione antiliberale recente che ha colpito, tra gli altri, proprio l'intellettuale Ali Weiwei.
Certo è che, come testimonia la copertina dell'Economist (China's crackdown - repression and the new ruling class con 5 uomini in giacca e cravatta raffigurante la bandiera cinese e al posto delle teste dei martelli), la situazione è complessa e in Cina si prospetta, a breve, un ricambio nella classe dirigente. Che preoccupa molti. Da questi incontri, insomma, passa molto del futuro del mondo, non solo di questi due paesi.


Liberazione 27/04/2011, pag 6

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