mercoledì 15 giugno 2011

«Obama? Va nella giusta direzione ma è ancora troppo timido e lento»

Parag Khanna Direttore della Global Governance Initiative della New America Foundation, autore di "Come si governa il mondo"

Guido Caldiron
Un'epoca segnata dalla «fine della supremazia della razza bianca, il tramonto della centralità dell'Occidente dopo mezzo millennio, l'impraticabilità di qualsiasi nuovo ordine unipolare o bipolare o perfino multipolare inteso in senso classico». Questo, secondo Parag Khanna, lo scenario internazionale scaturito dalla globalizzazione e dalla fine dei vecchi equilibri internazionali. Un quadro che il politologo ha definito con precisione nel suo Come si governa il mondo, appena pubblicato da Fazi con la prefazione di Federico Rampini (pp. 358, euro 19,00). Un quadro che negli Stati Uniti potrebbe avere il volto del primo presidente afroamericano.
Direttore della Global Governance Initiative per conto della New America Foundation e già consigliere per la politica estera di Barack Obama durante la campagna presidenziale, Parag Khanna è nato in India nel 1977, è vissuto negli Emirati Arabi Uniti e in Germania prima di stabilirsi negli Usa dove si è laureato alla Georgetown University. Segnalato dalla rivista Esquire come una fra le settantacinque persone più influenti al mondo, collabora con varie testate giornalistiche, fra cui il New York Times, The Guardian e il Financial Times». Nel 2009 Fazi aveva già pubblicato il suo saggio I tre imperi. Nuovi equilibri globali nel XXI secolo.

Nel mondo si è guardato con grande interesse all'elezione di Obama, sia perché si tratta del primo afroamericano arrivato alla guida degli Usa, sia perché ci si aspettava da lui un cambio netto nella politica estera. Due anni dopo a che punto siamo?
L'opinione pubblica ha accolto con comprensibile sollievo il fatto che a sostituire George W. Bush alla Casa Bianca sia stato un giovane democratico afroamericano. Solo che a questa considerazione innegabile, che per altro riguarda anche gli stessi cittadini degli Stati Uniti, si devono aggiungere ora i fatti, vale a dire la realizzazione di politiche nuove che vadano in direzione della pace e del benessere dell'umanità. Obama ha già imposto un nuovo approccio alle relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e il resto del mondo. La nuova amministrazione di Washington ha imboccato la strada giusta, si sta finalmente schierando senza tentennamenti dalla parte della tutela dei diritti umani e della democrazia, ma lo sta facendo con troppo timidezza e non senza alcune importanti zone d'ombra. Perciò credo che il giudizio che si può esprimere fin qui su Obama possa essere positivo ma nel senso di un incoraggiamento ad agire e a dare concretezza alle molte promesse e ai molti entusiasmi suscitati all'inizio del suo mandato. Dico questo da sostenitore di Obama, da persona che ha collaborato alla sua campagna presidenziale e che perciò si aspetta ancora davvero molto dalle sue azioni.

Con la recente uscita di scena di Osama Bin Laden la "war on terror" inaugurata dall'amministrazione Bush dopo il 2001 può considerarsi conclusa? E cosa dobbiamo aspettarci da Obama da questo punto di vista?
Non ho mai condiviso l'espressione "guerra al terrorismo". Questo perché il terrorismo è sempre esistito nel corso della Storia e non c'è nessun bisogno di dichiarargli "guerra", va combattuto e contrastato sempre ma lì dove si produce, non a livello "globale", affrontando e cercando di risolvere i problemi concreti che possono alimentarlo e non solo rispondendo in termini militari e repressivi. E' vero che l'11 settembre ha rappresentato un caso di terrorismo internazionale senza precedenti, ma immaginare che la guerra sul piano globale sarebbe stata la migliore risposta a quanto accaduto è stato l'errore più grande che hanno compiuto gli Stati Uniti negli ultimi anni. Per cui credo che la prima cosa che debba fare oggi Obama è puntare a risolvere le questioni che in Afghanista, Pakistan, Iraq, o ovunque si produca, fanno da sfondo alle azioni del terrorismo. Più in generale, era un errore pensare che con l'arrivo di Obama alla Casa Bianca ci sarebbe stato un cambiamento radicale nella politica americana. E credo che lo stesso Obama sia stato troppo ottimista quanto alle sue possibilità concrete di cambiare tutto rapidamente. Gli Stati Uniti erano impegnati "istituzionalmente" su due fronti di guerra, quello afghano e quello irakeno, ed era difficile pensare che lì, al fronte, arrivasse immediatamente l'eco di quanto accadeva in Washington. Così l'idea di un ritiro immediato delle truppe si è dovuta subito scontrare con la "forza d'inerzia" che si produce nelle guerre e che fa sì che prima che una decisione diventi operativa deve in ogni caso passare un certo tempo.

Nel suo celebre discorso pronunciato al Cairo nel 2009 Obama parlò della necessità di un "nuovo inizio" nelle relazioni tra gli Usa e il mondo islamico. Poi è venuto l'appoggio alle rivolte nel mondo arabo e la rottura con Mubarak in Egitto, infine la recente promessa di un sostegno economico all'area. Con la nuova amministrazione della Casa Bianca sembra non vi sia più traccia dello "scontro di civiltà", non crede?
In realtà credo che l'atteggiamento di Washington nei confronti della primavera democratica araba sia stato fin troppo lento. Obama si è mosso nella giusta direzione ma ci ha messo delle settimane a prendere la sua decisione, a "schierare" gli Stati Uniti a favore dei movimenti riformatori. Quanto al fatto che ha scaricato Mubarak, si deve tener conto del fatto che un paese costruisce la sua politica estera anche guardando in prospettiva, cercando di immaginare quello che accadrà nel prossimo futuro: così gli Stati Uniti hanno visto nell'appoggio all'opposizione al rais egiziano la migliore strada per garantirsi un buon rapporto anche con l'Egitto di domani. Diciamo che il modo migliore di avere relazioni con un paese è sempre quello di ascoltare le voci del popolo di quel paese. E credo che questa sia anche la via più feconda per cercare che nel mondo si arrivi a una condizione di pace e di stabilità. Detto questo, era tempo che gli Usa scegliessero di appoggiare nel mondo arabo le posizioni favorevoli alle riforme democratiche e alla liberalizzazione del sistema poltico. E questo discorso riguarda l'Egitto come l'insime di quell'area del mondo.

Solo pochi giorni fa a El Paso, alla frontiera tra Texas e Messico, Obama è tornato ad annunciare la sua intenzione di attuare un'ampia riforma della legge sull'immigrazione che regolarizzi quanti vivono già negli Stati Uniti. Cosa ne pensa?
Negli Stati Uniti la proposa di amnistia per gli immigrati che si trovano in condizione irregolare aveva raccolto consensi anche nel campo repubblicano, basti pensare che il governatore della California Schwarzenegger ne era stato uno dei più decisi sostenitori. Questo perché non si tratta di una scelta "ideologica", quanto piuttosto di una scelta imposta dal pragmatismo, dal fatto che si sta parlando di persone che già vivono e lavorano ogni giorno nel nostro paese. Certo, il fatto che Obama sia un afroamericano e un democratico che si è sempre speso e impegnato in prima persona su questi temi, potrà forse fare la differenza in futuro, vale a dire nella possibilità concreta che questi suoi annunci divengano alla fine realtà.


Liberazione 22/05/2011, pag 14

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